di Maria Pia Terrosi
Atrazina e paraquat sono due potenti erbicidi vietati nell’Unione europea. Il paraquat è stato messo al bando nel 2007 dalla Ue; l’atrazina ancora prima nel 2004. Sono sostanze che in Europa non si possono utilizzare in quanto rappresentano un rischio per la salute e l’ambiente. Eppure nel vecchio continente si continua a produrle per poi esportarle nei paesi in via di sviluppo. In pratica ciò che è considerato pericoloso per noi europei, tanto da essere bandito ormai da più di dieci anni, non viene ritenuto poi così dannoso per gli altri. Quando si dice due pesi e due misure.
Un esempio recente. Tra il 2012 e il 2016 Syngenta – colosso multinazionale con sede a Basilea attivo nella produzione di sementi e prodotti chimici per l’agricoltura – ha esportato paraquat e atrazina in Argentina, Brasile, Camerun, Cina, India, Pakistan, Perù e Thailandia. A questo si è aggiunta l’esportazione – dal 2015 a oggi – di altre 122.831 tonnellate di paraquat prodotte da Syngenta nel suo stabilimento inglese di Huddersfield. Una media di 41.000 tonnellate all’anno finite per i 2/3 in Brasile, Messico, Indonesia, Guatemala, Venezuela e India.
La pericolosità di queste sostanze ” fuorilegge” è aggravata dal fatto che spesso finiscono in Paesi in cui sono gestite in maniera inappropriata e senza le adeguate protezioni. Lo dimostra il fatto che dei 200 mila morti all’anno legati all’uso di pesticidi nel mondo nel settore agricolo, la quasi totalità si registra proprio nei Paesi in via di sviluppo.
Non solo. In queste realtà gli agricoltori sono spinti a procurarsi quantità maggiori di pesticidi di quelle necessarie e tendono a preferire prodotti più tossici in quanto più economici. La conseguenza è che si creano quantità consistenti di pesticidi inutilizzati, scaduti, altamente tossici che diventano obsoleti. Un altro motivo di accumulo – in particolare nei paesi africani – è legato all’eccesso di donazioni di pesticidi da parte di agenzie umanitarie per favorire le coltivazioni e i raccolti. E al riguardo vanno sviluppate politiche adeguate e strategie coordinate per evitare che ciò accada e ridurre le quantità stoccate. Infine, l’interesse delle aziende produttrici di sostanze chimiche a disfarsi delle loro scorte, spesso inutilizzabili nei paesi sviluppati occidentali.
“Nei paesi in via di sviluppo di frequente i pesticidi obsoleti – conferma Nadia Scialabba della Fao – sono conservati in condizioni pessime: all’aperto, in contenitori corrosi o danneggiati con il rischio – la certezza – di finire dispersi nel terreno e di inquinare le acque. Ma un primo problema da risolvere per la loro corretta gestione e smaltimento riguarda il loro numero: purtroppo non sono disponibili conteggi certi sull’entità di questi depositi.”
Secondo alcune stime della Fao contenute nel “Programme on the Prevention and Disposal of Obsolete Pesticides” ci sono circa mezzo milione di tonnellate di pesticidi obsoleti sparsi qua e là nel pianeta. Nei paesi dell’est europeo sono stoccate 240.000 tonnellate di vecchi pesticidi (100.000 tonnellate solo in Russia); mentre in Africa ce ne sono 27.000 tonnellate (i depositi più consistenti sono in Mali 14.000 tonnellate). Ma i dati, come visto, non sono precisi e in alcuni casi risalgono a oltre 10 anni fa.
Numeri a parte, resta inquietante la modalità di stoccaggio dei pesticidi: spesso sono conservati all’aperto in depositi improvvisati, con il rischio di contaminare il suolo. Numerosi stock infatti sono vicino a campi coltivati, ai pozzi e alle stesse abitazioni. E addirittura i contenitori vuoti vengono recuperati dalla popolazione e riutilizzati per conservare acqua o cibo.
Un altro punto critico riguarda lo smaltimento. In molti casi i residui di pesticidi e i loro contenitori vengono sepolti o bruciati, su indicazione delle stesse autorità locali. Il che significa contaminare il suolo e le acque nel primo caso; oppure nel secondo caso produrre fumi altamente tossici. Nel caso infine che i contenitori semivuoti vengano smaltiti in discarica finiscono in discariche spesso non adeguatamente impermeabilizzate e quindi di nuovo a rischio di contaminazione del terreno o delle falde acquifere.
By Fabio Borghesi
Grazie per aver scritto questo articolo. molto interessante. cercherà di darne diffusione.