di Antonio Cianciullo
Fake news e bufale. Apparentemente sono sinonimi, definizioni che, pur appartenendo a periodi diversi, sembrano sostanzialmente convergenti. La trasformazione lessicale rimanda però a una differenza non solo formale. La bufala è un prodotto spontaneo dell’era pre globalizzazione, una deformazione della realtà che spesso deriva da un errore, da uno scherzo, da un’incomprensione; qualche volta da un’operazione costruita ad arte. Con le fake news il peso delle motivazioni si rovescia: l’anonimato del web assicura uno spazio maggiore a gruppi politici ed economici che hanno gli strumenti per esercitare un potere occulto di manipolazione. Il falso non è più un’opera artigianale a circolazione limitata; diventa un prodotto industriale a tiratura globale.
Questo tema, i guasti legati alla falsificazione delle notizie, incontra il main stream dell’informazione quando lo scenario è quello della politica internazionale e la posta in gioco è l’elezione di un presidente o di un parlamento che conta. Ma, a leggere le cronache con attenzione, si scopre che anche la brown economy è molto attiva in questo settore. I blog sono popolati da troll pagati dalle multinazionali a maggior impatto ambientale. Le leggi più innovative vengono boicottate da campagne come quella che ha considerato uno scandalo i 2 centesimi per una bustina di plastica biodegradabile al supermercato e ha ignorato i robusti aumenti nel campo dell’energia e dei trasporti.
La vicenda del Mulino Gorfini, che produce farine biologiche, mostra come questo scenario si applichi perfettamente in campo agricolo. E’ un caso esemplare: l’azienda ha segnalato una contaminazione accidentale in una partita di farine e ha ritirato il prodotto; dunque il sistema di autocontrollo ha funzionato e la sicurezza del consumatore è stata garantita. Ma l’episodio è stato interpretato, al contrario, come una prova dell’inquinamento del sistema bio. Mentre le cronache sono popolate da episodi di contaminazione alimentare nei settori convenzionali scoperti solo grazie all’intervento dei corpi di polizia o della magistratura, in questo caso una buona capacità di autocontrollo e una dimostrazione di trasparenza vengono lette come una colpa. Perché? Lo abbiamo chiesto a Giovanni Boccia Artieri, docente di sociologia dei media digitali all’università di Urbino.
“Questa vicenda evidenzia un nodo critico: si dubita di tutto perché c’è un calo di fiducia nell’informazione, un calo che è molto elevato e che si avvicina ai valori altissimi del crollo di autorevolezza della politica”, risponde Giovanni Boccia Artieri. “Prima c’erano i quotidiani che svolgevano questa funzione, ora l’utente delle notizie si trova solo di fronte a una enorme quantità di informazioni online che è diventato impossibile validare: non sa se provengono da un algoritmo o da un fatto. Anche perché ormai la validazione è ex post: prima si pubblica, poi si verifica”.
E dunque cosa si può fare? Come possiamo difenderci? “Ci vuole maggiore consapevolezza, bisogna guardare con più attenzione le testate che pubblicano le notizie, occorre mettere a disposizione degli utenti strumenti validi”, continua Giovanni Boccia Artieri. “È vero che ci sono lobby organizzate che seminano notizie false, ma è anche vero che qualche volte le notizie false arrivano dalla propria cerchia di conoscenze e allora il meccanismo diventa ancora più insidioso. Magari il falso viene fatto circolare su whatsapp da un conoscente, a me è capitato”.
Sono meccanismi nuovi o riproposizioni attualizzate della vecchia disinformazione? “Se prima un giornale pubblicava notizie inesatte, arrivava una lettera di precisazione e si doveva pubblicarla”, aggiunge Giovanni Boccia Artieri. “Oggi chi deve smentire? E cosa si deve smentire? Una versione dei fatti che arriva a da un tuo amico e che proprio per questo ti tocca nel profondo?”
Il problema dell’affidabilità delle fonti non riguarda solo gli individui. Oggi l’Unione europea si pone il problema della verifica scientifica sui grandi temi che riguardano la salute pubblica. Ad esempio: una ricerca scientifica indipendente su un pesticida e una pagata dalle multinazionali che hanno prodotto quel pesticida pesano uguale? La risposta è contro intuitiva: per le agenzie europee, al momento, le due fonti hanno lo stesso peso.
“In questa situazione è più mai necessario il brand journalism”, continua Giovanni Boccia Artieri. “C’è spazio per una contro informazione che compensi l’eccesso di polarizzazione emotiva dell’informazione dominante. La partita resta aperta”.
Bio e sicurezza dei consumatori, ecco come si rovescia la realtà
di Antonio Cianciullo
Fake news e bufale. Apparentemente sono sinonimi, definizioni che, pur appartenendo a periodi diversi, sembrano sostanzialmente convergenti. La trasformazione lessicale rimanda però a una differenza non solo formale. La bufala è un prodotto spontaneo dell’era pre globalizzazione, una deformazione della realtà che spesso deriva da un errore, da uno scherzo, da un’incomprensione; qualche volta da un’operazione costruita ad arte. Con le fake news il peso delle motivazioni si rovescia: l’anonimato del web assicura uno spazio maggiore a gruppi politici ed economici che hanno gli strumenti per esercitare un potere occulto di manipolazione. Il falso non è più un’opera artigianale a circolazione limitata; diventa un prodotto industriale a tiratura globale.
Questo tema, i guasti legati alla falsificazione delle notizie, incontra il main stream dell’informazione quando lo scenario è quello della politica internazionale e la posta in gioco è l’elezione di un presidente o di un parlamento che conta. Ma, a leggere le cronache con attenzione, si scopre che anche la brown economy è molto attiva in questo settore. I blog sono popolati da troll pagati dalle multinazionali a maggior impatto ambientale. Le leggi più innovative vengono boicottate da campagne come quella che ha considerato uno scandalo i 2 centesimi per una bustina di plastica biodegradabile al supermercato e ha ignorato i robusti aumenti nel campo dell’energia e dei trasporti.
La vicenda del Mulino Gorfini, che produce farine biologiche, mostra come questo scenario si applichi perfettamente in campo agricolo. E’ un caso esemplare: l’azienda ha segnalato una contaminazione accidentale in una partita di farine e ha ritirato il prodotto; dunque il sistema di autocontrollo ha funzionato e la sicurezza del consumatore è stata garantita. Ma l’episodio è stato interpretato, al contrario, come una prova dell’inquinamento del sistema bio. Mentre le cronache sono popolate da episodi di contaminazione alimentare nei settori convenzionali scoperti solo grazie all’intervento dei corpi di polizia o della magistratura, in questo caso una buona capacità di autocontrollo e una dimostrazione di trasparenza vengono lette come una colpa. Perché? Lo abbiamo chiesto a Giovanni Boccia Artieri, docente di sociologia dei media digitali all’università di Urbino.
“Questa vicenda evidenzia un nodo critico: si dubita di tutto perché c’è un calo di fiducia nell’informazione, un calo che è molto elevato e che si avvicina ai valori altissimi del crollo di autorevolezza della politica”, risponde Giovanni Boccia Artieri. “Prima c’erano i quotidiani che svolgevano questa funzione, ora l’utente delle notizie si trova solo di fronte a una enorme quantità di informazioni online che è diventato impossibile validare: non sa se provengono da un algoritmo o da un fatto. Anche perché ormai la validazione è ex post: prima si pubblica, poi si verifica”.
E dunque cosa si può fare? Come possiamo difenderci? “Ci vuole maggiore consapevolezza, bisogna guardare con più attenzione le testate che pubblicano le notizie, occorre mettere a disposizione degli utenti strumenti validi”, continua Giovanni Boccia Artieri. “È vero che ci sono lobby organizzate che seminano notizie false, ma è anche vero che qualche volte le notizie false arrivano dalla propria cerchia di conoscenze e allora il meccanismo diventa ancora più insidioso. Magari il falso viene fatto circolare su whatsapp da un conoscente, a me è capitato”.
Sono meccanismi nuovi o riproposizioni attualizzate della vecchia disinformazione? “Se prima un giornale pubblicava notizie inesatte, arrivava una lettera di precisazione e si doveva pubblicarla”, aggiunge Giovanni Boccia Artieri. “Oggi chi deve smentire? E cosa si deve smentire? Una versione dei fatti che arriva a da un tuo amico e che proprio per questo ti tocca nel profondo?”
Il problema dell’affidabilità delle fonti non riguarda solo gli individui. Oggi l’Unione europea si pone il problema della verifica scientifica sui grandi temi che riguardano la salute pubblica. Ad esempio: una ricerca scientifica indipendente su un pesticida e una pagata dalle multinazionali che hanno prodotto quel pesticida pesano uguale? La risposta è contro intuitiva: per le agenzie europee, al momento, le due fonti hanno lo stesso peso.
“In questa situazione è più mai necessario il brand journalism”, continua Giovanni Boccia Artieri. “C’è spazio per una contro informazione che compensi l’eccesso di polarizzazione emotiva dell’informazione dominante. La partita resta aperta”.