di Maria Pia Terrosi
Obiettivo dello studio è stato capire “se e come” gli erbicidi a base di glifosato siano tossici ai vari stadi della vita precoce (neonato, infanzia e adolescenza) e identificare i marker precoci di esposizione. Lo studio ha testato gli effetti prodotti dal glifosato e di uno dei suoi formulati (Roundup Bioflow, MON 52276) su ratti Sprague Dawley. In pratica i topi, a partire dalla vita prenatale fino a 13 settimane dopo lo svezzamento, sono stati esposti ogni giorno a una dose di glifosato nell’acqua potabile pari a 1,75 mg / kg corrispondente al livello di esposizione giornaliero ritenuto accettabile secondo l’EPA, l’Agenzia per la Protezione Ambientale degli Stati Uniti.
Ne è emerso, invece, che anche a dosi ritenute sicure e per un tempo di esposizione relativamente breve (corrispondente nella vita dell’uomo dalla fase embrionale a 18 anni), gli erbicidi a base di glifosato sono in grado di alterare determinati parametri biologici importanti, principalmente i marcatori relativi alla sessualità, genotossicità e alterazione del microbioma intestinale.
In particolare, i risultati hanno mostrato nei ratti esposti al glifosato l’alterazione di alcuni parametri di sviluppo sessuale. Così come hanno ecidenziato cambiamenti statisticamente significativi del microbioma intestinale, rilevati in particolare durante la fase di sviluppo.
Appena un giorno dopo l’uscita degli studi del Ramazzini, l’EFSA – la stessa agenzia per la sicurezza degli alimenti che aveva assolto l’erbicida sulla base di studi che vengono anche dalle industrie produttrici e che oggi è sotto osservazione di un comitato europarlamentare – ha invece corretto al ribasso le quantità di glifosato permesse nei cibi.
“Dopo lo scandalo dei Monsanto Papers, la ricerca italiana ha dimostrato di poter creativamente trovare le strade per garantire una ricerca indipendente e libera dai condizionamenti dell’industria agrochimica in evidente conflitto di interesse afferma Maria Grazia Mammuccini, responsabile del progetto Cambia la terra. “Gli studi presentati dal Ramazzini dimostrano quanto fossero fondate le preoccupazioni di oltre un milione di cittadini europei che avevano chiesto #stopglifosato subito e stupisce – afferma la responsabile del progetto -come l’EFSA si sia precipitata immediatamente a rassicurare sull’assenza di rischi per l’uomo piuttosto che acquisire tali studi con l’obiettivo prioritario di tutelare la salute dei cittadini”.
Per avviare lo studio pilota – condotto dal 2016, grazie a un finanziamento di 300.000 euro – l’Istituto Ramazzini ha costruito una rete di partner autorevoli tra cui l’Università di Bologna (Facoltà di Agraria, Scienze Veterinarie e Biostatistica) l’Ospedale di Genova San Martino, l’Istituto Nazionale di Sanità, la Scuola di Medicina Icahn a Monte Sinai a New York e la George Washington University. Ora però è necessario effettuare uno studio a lungo termine e più completo sul glifosato in modo da estendere e confermare quanto emerso dallo studio pilota. Per raccogliere i fondi necessari – stimati in 5 milioni di euro – l’Istituto Ramazzini, con il supporto di altri Istituti e Università indipendenti in Europa e negli Stati Uniti, ha lanciato una campagna di crowdfunding che sta già ricevendo supporto da pubblico, politici e ONG in tutto il mondo.