di Goffredo Galeazzi
Ulteriori paletti nell’uso degli antibiotici negli allevamenti per tutelare la salute umana, l’ambiente e il cibo. Lo prevede un accordo, per ora informale, tra le istituzioni europee come strategia per combattere l’antibiotico resistenza. Eurodeputati e Commissione hanno deciso di limitare l’uso degli antimicrobici in fase preventiva. Soprattutto quando ancora non si è presentata alcuna forma di infezione visibile. L’accordo sarà sottoposto a votazione nel comitato per l’ambiente nella riunione in programma il 20 e 21 giugno.
“Questo è un importante passo avanti per la salute pubblica“, ha affermato la relatrice francese FrançoiseGrossetête, del Partito Popolare Europeo. “In effetti, al di là degli agricoltori o dei proprietari di animali, l’uso di medicinali veterinari riguarda tutti noi, perché ha un impatto diretto sul nostro ambiente e sui nostri alimenti, in breve, sulla nostra salute. La resistenza agli antibiotici è una vera spada di Damocle che minaccia di riportare il nostro sistema sanitario al Medioevo”.
Anche la Fao prende posizione contro l’uso (o abuso) dei medicinali antimicrobici per la crescita degli animali da allevamento. E lo fa con il direttore generale, José Graziano da Silva nel corso di una riunione Onu sul tema della resistenza antimicrobica. Gli antibiotici rivestono un ruolo importante nel salvaguardare la salute umana e animale, riconosce la Fao, ma devono essere usati in modo responsabile anche nel settore agricolo; vale a dire solamente per curare malattie e alleviare sofferenze e in rarissimi casi per prevenire una minaccia di infezione.
La nuova normativa europea stabilisce che i medicinali veterinari non devono in alcun caso servire a migliorare le prestazioni o compensare la cattiva gestione degli allevamenti. L’uso preventivo di antibiotici, in assenza di segni clinici di infezione, verrebbe consentito solo se pienamente giustificato da un veterinario nei casi in cui vi è un alto rischio di infezione con gravi conseguenze.
Il testo impone anche la reciprocità delle norme dell’Ue sull’uso degli antibiotici per i prodotti alimentari importati. “Questa è una vittoria per il Parlamento europeo. Ad esempio, i nostri partner commerciali che vogliono continuare a esportare in Europa dovranno astenersi dall’utilizzare antibiotici come promotori della crescita“, ha affermato Grossetête.
Per incoraggiare la ricerca di nuovi antibiotici, l’accordo prevede incentivi e protezione commerciale.
Il Centro europeo per il controllo delle malattie (ECDC) ha recentemente avvertito che i batteri negli esseri umani, negli alimenti e negli animali continuano a mostrare resistenza agli antibiotici più ampiamente utilizzati. Gli scienziati sostengono che la resistenza alla ciprofloxacina, un antibiotico di fondamentale importanza per il trattamento delle infezioni umane, è molto elevata nel caso del Campylobacter, riducendo così le opzioni per un trattamento efficace delle infezioni gravi trasmesse da alimenti.
Per la Fao, l’utilizzo di antibiotici “come promotori della crescita dovrebbe essere dismesso immediatamente”. Da Silva ha ricordato come “l’uso di biocidi sui raccolti sta causando lo sviluppo di funghi più resistenti ai trattamenti e dovrebbe anch’esso essere interrotto”. Secondo alcuni studi la resistenza antimicrobica potrebbe causare 10 milioni di morti all’anno e perdite per oltre 100 trilioni di dollari all’economia globale entro il 2050.
Oltre alle implicazioni per la salute pubblica, la resistenza antimicrobica incide anche sulla salubrità del cibo e sul benessere di milioni di produttori agricoli in tutto il mondo. Infine una ricerca statunitense – correllando l’aumento della resistenza agli antibiotici di tre comuni ceppi batterici, la crescita della popolazione e l’aumento delle temperature minime locali – ha evidenziato come il riscadamnto globale potrebbe favori la rsistenza agli antibiotici.
Quindi non sarebbe solamente l’eccesso di prescrizioni, e di conseguenza l’abuso di antibiotici a spingere i ceppi batterici a sviluppare resistenza. Lo studio Usa pubblicato sulla rivista Nature Climate Chenge, avanza l’ipotesi che anche l’aumento delle temperature minime locali a la crescita della popolazione giochino un ruolo nello sviluppo dell’antibiotico resistenza, riconosciuta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità come una seria minaccia per la salute dell’uomo.
Studiando la distribuzione dell’antibiotico resistenza negli Stati Uniti, un team di epidemiologi della Harvard Medical School, del Boston Children’s Hospital e dell’Università di Toronto ha notato che il fenomeno era superiore in quelle aree geografiche in cui la media delle temperature minime locali si era alzata di più nel corso del tempo e dove la densità di popolazione era maggiore.
“Gli effetti del clima sull’andamento di numerose malattie infettive sono sempre più evidenti, ma per quanto ne sappiamo questa è la prima volta che risultano implicati nella distribuzione della resistenza agli antibiotici in diverse aree geografiche”, ha commentato Derek MacFadden, tra gli autori dello studio. “Stime precedenti ci hanno già detto che ci sarà un aumento drastico e mortale della resistenza agli antibiotici nei prossimi anni”, ha concluso John Brownstein, autore senior dello studio. “Ma con le nostre scoperte sul fatto che il cambiamento climatico può aggravare e accelerare un aumento della resistenza agli antibiotici, le prospettive future potrebbero essere significativamente peggiori di quanto si sia pensato in precedenza”.