“Il biologico? Sì fa bene. Ma solo a chi lo produce. Perché può contare sui sussidi pubblici. Ma è poco salutare per le tasche di chi lo acquista e, allargando lo sguardo, per la popolazione mondiale.” Lo scrive la Senatrice Elena Cattaneo in un recente articolo pubblicato su D di Repubblica.
Risponde Maria Grazia Mammuccini.
Io e mio marito siamo da sempre agricoltori e abbiamo scelto il biologico già dal 2000. Anche noi, proprio come l’imprenditore agricolo citato dalla Senatrice Cattaneo in un articolo del settimanale D di Repubblica, siamo oberati dal peso insopportabile della burocrazia sul nostro lavoro e su quello di tutti gli agricoltori in generale. Ma per i produttori biologici questo peso è ancora maggiore perché gli atti amministrativi necessari per il rispetto delle norme che regolano l’agricoltura bio si sommano a tutte le altre che gravano sulle imprese agricole sommando burocrazia a burocrazia. La realtà è che gli agricoltori biologici pagano di più per poter coltivare con un metodo che invece produce ricadute positive per l’intera collettività in termini di fertilità del suolo, tutela della biodiversità e della qualità delle acque, miglioramento della qualità nutrizionale degli alimenti. Ma, nonostante le difficoltà della doppia burocrazia, siamo molto contenti della scelta del biologico per la nostra azienda. Dopo la fase sicuramente complessa della conversione, i risultati sul piano agronomico e ambientale (in termini di miglioramento dell’ecosistema) sono continuamente sotto in nostri occhi e questo rappresenta per noi un grande valore. Ma non solo. La scelta del biologico ci ha fatto crescere anche sul fronte della qualità dei nostri vini allargando così le opportunità di mercato dei nostri prodotti.
Ed è proprio l’espansione dei mercati, con la crescita della domanda da parte dei cittadini dei prodotti biologici, che ha determinato nel quinquennio 2012-2016 un grande aumento delle superfici coltivate in bio che, tra biologico e conversione, ha visto un +54% di estensione, mentre in viticoltura, settore tra i più dinamici e innovativi della nostra agricoltura, l’aumento delle superfici tra biologiche e in conversione si è attestato a più 80%.
E la realtà è proprio questa, esattamente opposta a quella descritta dalla Senatrice Cattaneo. L’agricoltura biologica non vive di sussidi ma del mercato creato dalle scelte consapevoli dei cittadini. Mentre da una parte assistiamo a una grande espansione dei prodotti biologici e a una crescita delle aziende biologiche, dall’altra tutti i dati a disposizione ci dicono che la maggior parte dei sussidi della politica agricola comunitaria sono destinati all’agricoltura convenzionale, basata sull’uso della chimica di sintesi: senza queste risorse non riuscirebbe più a reggere sul piano economico.
E’ questa l’evidenza che abbiamo di fronte oggi.
L’agricoltura biologica rappresenta non solo l’approccio più efficace in termini di ricadute ambientali e della salute pubblica ma anche il più solido sul piano economico. I dati ad oggi dell’ultimo Bioreport elaborato dal CREA ci dicono che il reddito netto per unità lavorativa familiare in agricoltura biologica è il 22,1% in più rispetto al convenzionale e il lavoro sulla produzione lorda vendibile incide per il 15% nel convenzionale e il 21% nel biologico, in sostanza circa il 30% in più.
Tutto ci dice ormai che l’agricoltura nata dalla rivoluzione verde basata su sistemi monocolturali e intensivi e sull’uso della chimica di sintesi e che costa apparentemente meno solo perché esternalizza su tutti i cittadini i propri costi ambientali e sociali, è un modello superato, che non rappresenta più l’innovazione necessaria per affrontare le sfide attuali e future. Oggi la vera innovazione è costituita da un insieme di tecniche agricole fondate sulla conoscenza delle dinamiche naturali, delle specificità territoriali e basate su principi ecologici. La vera innovazione è adottare l’approccio agroecologico, di cui l’agricoltura biologica è l’applicazione concreta e più diffusa a livello globale, che magari produce qualcosa meno per unità di superficie per la singola coltura ma assai di più in termini di biomassa e di “beni comuni” nella dimensione pluriennale della rotazione, a cominciare dalla fertilità dei suoli e dal sequestro di carbonio, la tutela della biodiversità e della qualità delle acque, il miglioramento della qualità nutrizionale degli alimenti oltre al reddito degli agricoltori e a nuove opportunità di lavoro per i giovani.
Francamente non riesco a capire le ragioni per le quali una scienziata del livello della Senatrice Cattaneo si ostina ad intervenire su una materia che non conosce e di cui non si è mai occupata. E non riesco a capire come mai una persona come lei, che ricopre l’incarico di Senatrice a vita, continui a voler delegittimare le 72.000 imprese che lavorano nel biologico nel nostro paese e che oggi rappresenta uno dei punti più avanzati di innovazione tecnica, scientifica, economica e sociale e che può dare all’agricoltura nel nostro paese ulteriori opportunità di occupazione e sviluppo economico.
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“Il biologico? Sì fa bene. Ma solo a chi lo produce. Perché può contare sui sussidi pubblici. Ma è poco salutare per le tasche di chi lo acquista e, allargando lo sguardo, per la popolazione mondiale.” Lo scrive la Senatrice Elena Cattaneo in un recente articolo pubblicato su D di Repubblica.
Risponde Maria Grazia Mammuccini.
Io e mio marito siamo da sempre agricoltori e abbiamo scelto il biologico già dal 2000. Anche noi, proprio come l’imprenditore agricolo citato dalla Senatrice Cattaneo in un articolo del settimanale D di Repubblica, siamo oberati dal peso insopportabile della burocrazia sul nostro lavoro e su quello di tutti gli agricoltori in generale. Ma per i produttori biologici questo peso è ancora maggiore perché gli atti amministrativi necessari per il rispetto delle norme che regolano l’agricoltura bio si sommano a tutte le altre che gravano sulle imprese agricole sommando burocrazia a burocrazia. La realtà è che gli agricoltori biologici pagano di più per poter coltivare con un metodo che invece produce ricadute positive per l’intera collettività in termini di fertilità del suolo, tutela della biodiversità e della qualità delle acque, miglioramento della qualità nutrizionale degli alimenti. Ma, nonostante le difficoltà della doppia burocrazia, siamo molto contenti della scelta del biologico per la nostra azienda. Dopo la fase sicuramente complessa della conversione, i risultati sul piano agronomico e ambientale (in termini di miglioramento dell’ecosistema) sono continuamente sotto in nostri occhi e questo rappresenta per noi un grande valore. Ma non solo. La scelta del biologico ci ha fatto crescere anche sul fronte della qualità dei nostri vini allargando così le opportunità di mercato dei nostri prodotti.
Ed è proprio l’espansione dei mercati, con la crescita della domanda da parte dei cittadini dei prodotti biologici, che ha determinato nel quinquennio 2012-2016 un grande aumento delle superfici coltivate in bio che, tra biologico e conversione, ha visto un +54% di estensione, mentre in viticoltura, settore tra i più dinamici e innovativi della nostra agricoltura, l’aumento delle superfici tra biologiche e in conversione si è attestato a più 80%.
E la realtà è proprio questa, esattamente opposta a quella descritta dalla Senatrice Cattaneo. L’agricoltura biologica non vive di sussidi ma del mercato creato dalle scelte consapevoli dei cittadini. Mentre da una parte assistiamo a una grande espansione dei prodotti biologici e a una crescita delle aziende biologiche, dall’altra tutti i dati a disposizione ci dicono che la maggior parte dei sussidi della politica agricola comunitaria sono destinati all’agricoltura convenzionale, basata sull’uso della chimica di sintesi: senza queste risorse non riuscirebbe più a reggere sul piano economico.
E’ questa l’evidenza che abbiamo di fronte oggi.
L’agricoltura biologica rappresenta non solo l’approccio più efficace in termini di ricadute ambientali e della salute pubblica ma anche il più solido sul piano economico. I dati ad oggi dell’ultimo Bioreport elaborato dal CREA ci dicono che il reddito netto per unità lavorativa familiare in agricoltura biologica è il 22,1% in più rispetto al convenzionale e il lavoro sulla produzione lorda vendibile incide per il 15% nel convenzionale e il 21% nel biologico, in sostanza circa il 30% in più.
Tutto ci dice ormai che l’agricoltura nata dalla rivoluzione verde basata su sistemi monocolturali e intensivi e sull’uso della chimica di sintesi e che costa apparentemente meno solo perché esternalizza su tutti i cittadini i propri costi ambientali e sociali, è un modello superato, che non rappresenta più l’innovazione necessaria per affrontare le sfide attuali e future. Oggi la vera innovazione è costituita da un insieme di tecniche agricole fondate sulla conoscenza delle dinamiche naturali, delle specificità territoriali e basate su principi ecologici. La vera innovazione è adottare l’approccio agroecologico, di cui l’agricoltura biologica è l’applicazione concreta e più diffusa a livello globale, che magari produce qualcosa meno per unità di superficie per la singola coltura ma assai di più in termini di biomassa e di “beni comuni” nella dimensione pluriennale della rotazione, a cominciare dalla fertilità dei suoli e dal sequestro di carbonio, la tutela della biodiversità e della qualità delle acque, il miglioramento della qualità nutrizionale degli alimenti oltre al reddito degli agricoltori e a nuove opportunità di lavoro per i giovani.
Francamente non riesco a capire le ragioni per le quali una scienziata del livello della Senatrice Cattaneo si ostina ad intervenire su una materia che non conosce e di cui non si è mai occupata. E non riesco a capire come mai una persona come lei, che ricopre l’incarico di Senatrice a vita, continui a voler delegittimare le 72.000 imprese che lavorano nel biologico nel nostro paese e che oggi rappresenta uno dei punti più avanzati di innovazione tecnica, scientifica, economica e sociale e che può dare all’agricoltura nel nostro paese ulteriori opportunità di occupazione e sviluppo economico.
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