La capitale dell’Europa autorizza il glifosato per altri 5 anni ma la capitale della Regione di Bruxelles approva un progetto di decreto che, in base al principio di precauzione, vieta l’uso di pesticidi contenenti glifosato.
I toni della disputa per ora non sono troppo accesi. Il direttore generale della Divisione Mercato interno della Commissione, Lowri Evans, – nota il giornale belga L’Echo – ha scelto un modo soft di esprimere le sue rimostranze: semplici “osservazioni” da “prendere in considerazione”. E in un continente scosso da profonde tensioni politiche la querelle sul glifosato potrebbe apparire secondaria.
Tuttavia, proprio nel contesto attuale, questo episodio di “schizofrenia” politica assume un forte carattere simbolico che va al di là dell’episodio specifico e investe i valori su cui l’Europa si fonda. C’è una Bruxelles che guarda al territorio (la capitale della Regione) e si allinea al giudizio della più prestigiosa organizzazione scientifica di studi sul cancro (lo Iarc di Lione) invocando il principio di precauzione di fronte al giudizio di probabile cancerogenicità del glifosato per gli esseri umani. E c’è una Bruxelles che guarda agli assetti industriali e agli equilibri politici affidando alle multinazionali un ruolo che viene contestato da oltre un milione di cittadini europei, quelli che hanno firmato la petizione per chiedere una legge di riforma dei criteri di ammissibilità dei pesticidi.
Questo è il punto. Dietro l’apparentemente inspiegabile contrasto tra il parere dello Iarc e quello delle due agenzie europee (Efsa e Echa) sul glifosato c’è una questione di metodo. Lo Iarc ha esaminato solo gli studi peer review, cioè approvati da un gruppo di revisori esperti del tema e pubblicati su riviste scientifiche, arrivando al giudizio di probabile cancerogenicità. Le due agenzie europee hanno preso in considerazione anche gli studi commissionati dalle industrie del settore arrivando a una conclusione diversa. Quali dei due sistemi è più affidabile?
Dopo i Monsanto Papers, una colossale inchiesta condotta dal quotidiano Le Monde che ha portato in luce comportamenti poco trasparenti dell’industria agrochimica, il Parlamento europeo ha nominato una Commissione sui sistemi di autorizzazione dei pesticidi nell’Unione. La Commissione, che non ha avuto vita facile, concluderà i lavori entro l’anno.
Si dovrà quindi aspettare qualche settimana per avere un giudizio istituzionale su questa vicenda. Ma quello politico non attende. I fatti che emergono dalle cronache, a leggerli in superficie, sembrano rimandare allo scontro tra una dimensione locale e una dimensione continentale. Messa in questi termini la partita difficilmente avrebbe sbocchi positivi. Le ultime vicende (dalla Brexit alla Catalogna passando per la questione migranti) mostrano uno scontro sempre più evidente. Da una parte un populismo che vende emozioni (spesso negative) usando con competenza il marketing. Dall’altra istituzioni che parlano burocratese e guardano alle multinazionali nei momenti di crisi. È una battaglia dal risultato elettorale scontato ma pericolosa per l’affidabilità del sistema nel medio periodo.
La questione glifosato può però essere letta in modo opposto, proprio come uno strumento per sciogliere la contrapposizione tra particolarismo e universalismo. Dietro la petizione al Parlamento europeo c’è un movimento che chiede di dare più spazio alla scienza e più forza all’industria nel rispetto dei ruoli. Perché una scienza confusa con la tecnologia è una scienza impoverita e un’industria che perde il contatto emozionale con i suoi clienti è un’industria indebolita.
Può nascere un progetto più ampio, un fronte radicale nella difesa dei valori che accomunano i cittadini europei (sicurezza, benessere, occupazione) e pronto a sostenere le imprese impegnate nell’innovazione e nella conquista dei nuovi mercati caratterizzati da una maggiore attenzione alle questioni ambientali e sociali? Le ultime elezioni in Germania suggeriscono una risposta positiva. Rivelano uno spazio anche politico per forze che si contrappongono al populismo e a una visione convenzionale della grande industria. È una terza via che potrebbe crescere.