Sul tema della sicurezza alimentare riferita in particolare alla contaminazione chimica, la Corte dei Conti europea – Eca – ha appena pubblicato una relazione volta a esaminare quanto e come il sistema di regole e controlli della Ue tuteli i cittadini. Risultato: anche se fondato su basi solide, tale sistema è attualmente sottoposto a forti pressioni e presenta delle criticità. Prima di tutto legate al fatto che né la Commissione europea né gli Stati membri hanno la capacità di applicarlo integralmente. Per esempio, in alcuni Stati membri, il quadro normativo è così esteso che gli organismi pubblici di controllo non riescono a svolgere tutti gli adempimenti ed andrebbe affiancato un sistema di controllo del settore privato.
Strettamente collegato all’efficacia dei controlli c’è poi il tema dei cibi importati dai Paesi extra Ue. In Europa si importa il 13% dei prodotti che consumiamo, percentuale pari a 93 milioni di tonnellate nel 2016: il principio chiave che regola la circolazione sul mercato Ue è che tutti i prodotti devono essere conformi alla normativa europea, indipendentemente dalla loro origine, e rispettare gli standard di sicurezza Ue.
Spesso però entra in campo un meccanismo noto come “tolleranza all’importazione” e la scivolosa distinzione tra rischio e pericolo.
L’attuale quadro giuridico dell’Ue distingue tra criteri basati sul rischio e criteri basati sul pericolo. Gli antiparassitari che, in base ai criteri di esclusione basati sui pericoli non sono ammissibili, non possono essere commercializzati o utilizzati nell’Ue. Ma in base alle norme dell’Omc i Paesi importatori non possono utilizzare unicamente criteri basati sui pericoli per escludere potenziali importazioni; dunque i residui di queste sostanze potrebbero essere tollerati in prodotti importati nell’Ue. A patto che l’Efsa dia semaforo verde in base a una valutazione non più sul pericolo ma sul rischio, concetto molto più aleatorio e interpretabile in molti modi.
“Uno Stato membro designato – scrive Eca nella relazione – valuta innanzitutto la richiesta e la documentazione trasmessa dal Paese non-Ue. Sulla base della valutazione dello Stato membro, l’Efsa esprime poi un parere. Se tale parere è favorevole e stabilisce che la sicurezza dei consumatori non è a rischio, la Commissione può decidere di riconoscere a tale Paese la tolleranza all’importazione richiesta e di modificare il quadro normativo dell’Ue per venire incontro alle necessità di tale Paese, ad esempio stabilendo uno specifico limite dei residui per l’Ue.”
Se l’obiettivo fissato è aumentare la sicurezza alimentare nei consumatori, la sola strada è eliminare le tolleranze per alcuni residui di antiparassitari dei prodotti importati. In Europa secondo una elaborazione condotta da Coldiretti su dati del Sistema di Allerta Rapido, nei primi nove mesi del 2018 sono stati 2.654 gli allarmi alimentari, quasi 10 al giorno. Il 60% di questi si riferivano a prodotti di origine extracomunitaria. I pericoli maggiori riguardavano la presenza di microrganismi patogeni, microtossine, residui di fitofarmaci, contaminazione da metalli pesanti o presenza di corpi estranei o non autorizzati. In pratica i prodotti extracomunitari sono 4 volte più pericolosi di quelli comunitari e 12 volte più pericolosi di quelli made in Italy.
Secondo analisi condotte dall’Efsa sulla presenza di pesticidi nei prodotti agroalimentari venduti in Europa il 4,7% dei prodotti provenienti da Paesi extra Ue contenevano una quantità irregolare di residui chimici, rispetto alla media Ue dell’1,2% e ad appena lo 0,4% dell’Italia .