Quanto ha investito la Monsanto per fare campagna a favore del glifosato dopo il verdetto di probabile cancerogenicità emesso dallo Iarc, l’istituto internazionale di ricerca sui tumori, nel 2015? Circa 17 milioni di dollari in un solo anno. Niente di male in termini assoluti. Le aziende investono in reputazione e pubblicità a favore dei loro prodotti: a colpire sono per ora soprattutto le grandezze della spesa.
Le dimensioni dell’attività di lobbyng della Monsanto sono venute alla luce nel processo Hardeman contro Monsanto, che ha riconosciuto a Edwin Hardeman un risarcimento di oltre 80 milioni di dollari per aver contratto il linfoma non-Hodgkin in seguito all’utilizzo del glifosato. A portarle alla luce, U.S. Right to Know , un gruppo di ricerca statunitense sulla salute pubblica che conduce un attento lavoro di approfondimento sui processi cui Monsanto/Bayer deve rispondere dei danni alla salute prodotti dall’utilizzo del glifosato. Durante la deposizione del responsabile delle relazioni con i media di Monsanto Sam Murphey, videoregistrata lo scorso 22 gennaio e per ora resa nota solo in parte, gli avvocati hanno molto insistito sul lavoro di lobbying intrapreso dall’azienda dopo che lo Iarc aveva classificato il glifosato come ‘probabile cancerogeno’, nel 2015.Il lavoro di Murphey alla Monsanto includeva la direzione delle relazioni con i media globali e gli “sforzi di advocacy a sostegno di importanti contenziosi, questioni politiche e minacce reputazionali” che coinvolgevano il business degli erbicidi a base di glifosato.
Il giudice distrettuale degli Stati Uniti, Vince Chhabria, non ha permesso che la deposizione di Murphey sulle varie destinazioni dello stanziamento per confutare le conclusioni dell’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (Iarc) fosse utilizzata nel processo. Ma le dichiarazioni di Murphey dovrebbero essere usate nel processo Pilliod contro Monsanto in corso presso la Corte Superiore della contea di Alameda a Oakland, in California. I documenti interni della multinazionale dell’agro-chimica mostrano – secondo quanto riportato dal sito Usrtk.org – che Monsanto avrebbe usato segretamente parti terze per la sua comunicazione anti-Iarc perché i dirigenti e i responsabili delle pubbliche relazioni pensavano che le informazioni sarebbero apparse più credibili proveniente da entità indipendenti.
Durante la sua deposizione, a Murphey è stato chiesto quanto l’azienda ha speso cercando di mettere in dubbio la classificazione Iarc. Alla domanda dell’avvocato difensore Pedram Esfandiary se la Monsanto abbia stanziato milioni di dollari per confutare la classificazione dello Iarc, Murphey ha risposto che la multinazionale ha “dovuto spendere una quantità significativa di risorse, nel corso di diversi anni, correggendo la disinformazione e affrontando le domande nel pubblico riguardo al glifosato”. Alla domanda se fosse a conoscenza “approssimativamente” di quanto Monsanto abbia speso in attività di lobbyng, Murphey ha risposto che nel 2016 Monsanto, “per alcuni dei progetti in cui sono stato coinvolto”, ha stanziato 16-17 milioni di dollari, non incentrati esclusivamente su Iarc ma anche “sulle relazioni con i media e, più in generale, su altre attività”.
Sono passati quattro anni da quando l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (Iarc) ha esaminato la letteratura scientifica pubblicata e peer-reviewed sul glifosato e ha decretato che l’erbicida è probabilmente cancerogeno, con una particolare associazione al linfoma non-Hodgkin. Lo Iarc fa parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e ha classificato oltre 1.000 sostanze in merito al rischio di cancro.
Non tutto il materiale del processo è stato reso pubblico. Ma è emerso che la strategia “Let Nothing Go”, ha riferito sempre Murphey, ha comportato il “monitoraggio attento della copertura dei media”, con particolare attenzione per l’Unione europea. “Avevamo un certo numero di mercati che avevano priorità”, ha affermato Murphey. Il progetto “richiedeva il monitoraggio e la segnalazione di articoli che contenevano ciò che Monsanto considerava informazioni imprecise o informazioni errate sull’azienda o sui suoi prodotti, o storie che non includevano la prospettiva o il punto di vista dell’azienda”.
Di certo, dopo la lettura della trascrizione della video deposizione di Murphey diventerà ulteriormente difficile parlare della ‘potente lobby del bio’.