“Non diciamo solo no, proponiamo alternative”

Enrico Casarotti, presidente dell’Associazione veneta dei produttori biologici e biodinamici, a Cambia la Terra, in vista della marcia Stop Pesticidi.

di Leonardo Vacca


Alternative, si può. L’associazione AVeProBi, nata poco meno di trent’anni fa, si occupa di progetti per la salvaguardia della biodiversità, la ricerca di varietà adatte alla coltivazione biologica, il recupero di varietà antiche locali. È presente presso le istituzioni, Comuni e Regioni, e fa anche lavoro di ricerca, collaborando con alcune università del Veneto. L’associazione si è fatta promotrice in alcune zone del Veneto della marcia Stop Pesticidi del 19 maggio Il presidente, Enrico Casarotti, spiega perché.

Perché il biologico aderisce alla marcia?

Per sensibilizzare la popolazione su quello che vuol dire usare in maniera intensiva i prodotti fitosanitari. Il Veneto è la regione italiana che più ne fa utilizzo, oltre ad avere zone interamente monoculturali. Per questo in alcune aree c’è già una forte consapevolezza del problema.

In che modo l’uso di questi prodotti si riflette sulla popolazione?

Il convenzionale fa uso massiccio di questi prodotti: sui campi delle monocolture si vedono tutti i giorni decine di apparecchi che li diffondono nell’aria. Anche le aree vicine ai terreni coltivati in questo modo vengono invase da concentrazioni elevate di prodotti tossici. Gli abitanti di queste aree devono sapere che l’uso intensivo riguarda anche loro. Noi vogliamo spingere le aziende agricole a gestire i campi con prodotti a basso impatto.

Come reagisce la popolazione?

La gente, soprattutto in alcune province, è esasperata. In altre, come il Veronese, bisogna spiegare meglio le conseguenze delle coltivazioni intensive ad alto uso di prodotti tossici. Fare la Marcia vuol dire smuovere le coscienze delle persone e delle autorità. Occorrono regolamenti rurali. Occorre spingere le amministrazioni a dotarsi di regole.

Qual è il ruolo delle aziende biologiche?

Le aziende biologiche sono a rischio per il pericolo di contaminazioni che deriva dall’uso smodato di pesticidi. Occorre attivare il dialogo anche con chi non usa il metodo biologico, per ampliare la conoscenza di ciò che si fa e di come si gestiscono le aziende agricole. Spiegare che è possibile un’agricoltura che faccia un uso meno intenso di prodotti dannosi o che non ne faccia affatto. Non vogliamo avere un approccio che sia solo “No”, diciamo “Non ci va bene così, creiamo qualcosa di alternativo”.

E i detrattori?

Il biologico viene attaccato per l’uso di rame: un controsenso perché, fino allo scorso anno, il rame aveva dei limiti di utilizzo solo per il bio. Da quest’anno il limite riguarda anche il convenzionale. Ma l’uso che ne fa il biologico è molto meno impattante ed è provato che per particolari patologie fungine il rame è l’unico che abbia efficacia. Per quanto ci riguarda, non dobbiamo perdere di vista le caratteristiche del biologico: dobbiamo ricordarci che un’azienda biologica che coltiva in monocultura 200 ettari di vite non è propriamente sostenibile.

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