“L’ultimo rapporto Istat è stato sintetizzato con il titolo ‘La svolta verde’. Bene, ma in questa descrizione delle buone performance italiane è stato appena accennato un tema che invece è centrale: il biologico. Mentre per le rinnovabili e per l’economia circolare negli ultimi anni abbiamo perso terreno, per il biologico vale il contrario: non solo la crescita non si arresta, ma il movimento si allarga. L’agroecologia è uno degli assi del rilancio del Paese: va sostenuta, anche e soprattutto partendo dalla dimensione locale”. Sono per ora 66 i Comuni che hanno approvato regolamenti per ridurre l’uso dei pesticidi e diffondere l’agricoltura biologica nei loro territori: se ne è parlato nell’incontro “Liberi dai pesticidi, L’Italia riparte dai Comuni”, organizzato da Cambia la Terra, la campagna di Federbio, Legambiente, WWF, Lipu e Medici per l’Ambiente. A commentare il significato dell’iniziativa, Maria Grazia Mammuccini, che coordina per Federbio la campagna e, nella sua azienda biologica nel Chianti, produce i vini della memoria recuperando vitigni in estinzione come il pugnitello, la barsaglina, la fogliatonda.
“Erano, non lo sono più. I campi bio rappresentano il 15,4% della superficie agricola nazionale, cioè si estendono su quasi 2 milioni ettari, e contano su più di 75 mila imprese. Negli ultimi sette anni si è registrato un incremento di superficie del 71%. E il fatturato annuo ha superato i 5 miliardi di euro, di cui 3,5 nel mercato domestico e 2,1 nell’export, con un incremento annuo che da tempo viaggia a due cifre. E’ un andamento che si sta via via rafforzando”.
“Non solo. Sessantasei Comuni hanno deciso di rilanciare a livello istituzionale la partita di un’agricoltura a basso impatto ambientale. Utilizzano gli spazi concessi dal Piano nazionale di riduzione dei pesticidi per attivare regolamenti mirati a limitare l’uso dei pesticidi aumentando così il livello di protezione degli abitanti. Inoltre la nascita dei distretti biologici è un altro segnale di un movimento che parte dal basso ma che sta trovando sponde più attente anche a livello politico”.
“Per essere operativa la legge va ora rapidamente approvata dal Senato. Ma il via libera di Montecitorio così ampiamente condiviso è stato un passaggio molto importante. La nuova normativa riconosce il valore ambientale dell’agricoltura biologica, istituisce il logo del biologico italiano e spinge a favorire elementi innovativi come i biodistretti e a dotarsi di strumenti adeguati per far crescere l’agricoltura bio come sistemi di filiera avanzati e investimenti in formazione e ricerca”.
“Questa è una leggenda metropolitana. La verità dei numeri è un’altra. I dati del Servizio Studi della Camera ci dicono che i finanziamenti della PAC 2014-2020 all’agricoltura italiana sono un totale di circa 62,5 miliardi e la parte che va al biologico è di 1,8 miliardi: il 2,9% delle risorse a fronte del 15,4 per cento di superficie agricola coltivata con il metodo bio. In altre parole i sistemi di coltivazione che restituiscono ricchezza alla terra, diminuiscono l’impatto serra della produzione e proteggono la biodiversità sono penalizzati”.
“Ma è proprio dal punto di vista internazionale che il ripensamento rispetto all’agricoltura ad alto impatto ambientale è stato più netto. La svolta è stata sancita a primavera dell’anno sorso dal Congresso internazionale dell’agroecologia organizzato a Roma dalla Fao. E’ stato il direttore della Fao a dire che il modello della rivoluzione che venne chiamata verde è finito e che l’approccio dell’agroecologia è la svolta globale di cui abbiamo bisogno sia dal punto di vista della sicurezza alimentare che da quello della sicurezza climatica”.
“Siamo di fronte a una vera e propria trasformazione del modo di produrre e consumare cibo in cui un numero crescente di consumatori chiede prodotti che difendano la salute, l’equilibrio dei campi e i principi dell’equità sociale. Da questo punto di vista il nostro Paese ha un ruolo di leadership: abbiamo scelto la strada della qualità e dei prodotti identitari legati al territorio. Ora bisogna sostenere queste scelte con politiche coraggiose e decise per allargare le potenzialità di un cambiamento che sta già emergendo in modo autonomo. A cominciare dal futuro della PAC, la Politica Agricola Comunitaria e dall’approvazione del nuovo Piano d’azione nazionale sull’uso sostenibile dei fitofarmaci (Pan): il precedente ha dato priorità all’ agricoltura integrata, che fa grande uso di pesticidi di sintesi chimica a partire dal glifosato. Il nuovo Pan, che dovrebbe già essere alla consultazione pubblica e invece è bloccato ai Ministeri competenti, Agricoltura, Ambiente e Salute, dovrebbe prendere in considerazione le nostre proposte più urgenti e coerenti con il lavoro fatto dai Comuni: 40% di superficie agricola dedicato al bio entro il 2030; distanze minime di sicurezza da case, luoghi pubblici e coltivazioni biologiche rispetto ai campi in cui si usano i pesticidi; informazione ai vicini sui tempi e sulle modalità di trattamento da parte di usa i fitofarmaci. E divieto di utilizzo dei pesticidi nelle aree protette a seguito delle direttive Ue”.
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