La Chiesa in campo per l’Amazzonia. La visione di un’ecologia integrale in cui la preoccupazione per la natura si unisca all’equità verso i poveri e la necessità di una conversione ecologica – un cambiamento di rotta affinché l’uomo si assuma la responsabilità di un impegno per la cura della casa comune, la Madre Terra – sono temi centrali per papa Francesco e per tutta la Chiesa cattolica.
La loro centralità è stata di recente ribadita in Instrumentum Laboris, il documento preparatorio in vista del sinodo del prossimo ottobre dedicato all’Amazzonia. Un documento che – sulla scia dell’Enciclica Laudato Si’ – invita la Chiesa ad assumere sempre più la cura della casa comune come parte della sua missione evangelizzatrice. E lo fa partendo dall’Amazzonia, una delle zone più vulnerabili della Terra dopo l’Artico, in relazione ai cambiamenti climatici. Un’area essenziale per la sopravvivenza dell’intero pianeta, se si pensa che solo il Rio delle Amazzoni fornisce ogni anno il 15% di acqua dolce totale del pianeta, mentre le foreste tropicali che lo circondano nutrono i suoli e regolano i cicli dell’acqua, dell’energia e del carbonio a livello planetario.
Ma la difesa della casa comune comporta impegno. La vita in Amazzonia – si legge nel documento – è minacciata dalla distruzione e dallo sfruttamento ambientale, dalla sistematica violazione dei diritti umani fondamentali della popolazione amazzonica: in particolare, la violazione dei diritti dei popoli originari, come il diritto al territorio, all’autodeterminazione, alla delimitazione dei territori. Si pensi al land grabbing, alla deforestazione, al proliferare delle monocolture, al crescente consumo di suolo o all’inquinamento che lo avvelena. Si pensi altresì a dinamiche finanziarie ed economiche che cercano di monopolizzare la ricerca o addirittura si propongono di privatizzare alcune tecnoscienze collegate alla salvaguardia della biodiversità.
La difesa del territorio – oggi siamo tra il 15 e il 20% di deforestazione in Amazzonia – va di pari passo con la difesa dei popoli indigeni, che spesso vivono ai margini della società e mantengono un profondo legame con la natura. Sono loro i più vulnerabili perché “resistono all’attuale modello di sviluppo economico predatore, genocida ed ecocida. Ma da loro dobbiamo imparare a vivere in armonia con sé stessi, con la natura, con gli esseri umani e con l’essere supremo”, si legge nel testo. Per difendere la loro sopravvivenza e quella del pianeta sarà importante, secondo i vescovi, favorire le pratiche di coltivazione realizzate secondo lo spirito con cui il monachesimo ha reso possibile la fertilità della terra senza modificarne l’equilibrio. Instrumentum Laboris suggerisce di allearsi ai movimenti sociali di base, per annunciare un programma di giustizia agraria che promuova una profonda riforma agraria, sostenendo l’agricoltura biologica e agroforestale e assumere la causa dell’agroecologia incorporandola ai loro processi formativi per una maggiore consapevolezza delle stesse popolazioni indigene.
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