Cibo a rischio. Molti credono ancora in questa equazione perché è semplice e in sintonia con la crescita lineare che ha dominato il ventesimo secolo: + più industrializzazione dei campi + più cibo = meno fame. Ma i numeri oggi raccontano un’altra storia. E la Fao la documenta con il rapporto The state of food security and nutrition in the world 2019.
Dallo studio emerge il fatto che la lotta contro la fame non è una battaglia tecnica, non si basa solo sulla capacità di produrre più alimenti: la sfida è contrastare gli squilibri economici e sociali che negano a due miliardi di persone l’accesso a un’alimentazione sufficiente per quantità e per qualità. Sono le crisi economiche e la disgregazione della tenuta sociale di villaggi o di interi Paesi ad aumentare il numero dei malnutriti.
Un numero che per la prima volta dopo molti anni torna a crescere. Il livello globale della percentuale di persone che non hanno cibo sufficiente sfiora l’11 percento: poco più di 820 milioni di persone soffrono la fame. Vuol dire una persona su nove nel mondo. La maggior parte (più di 700 milioni di persone) è “esposta a gravi livelli di insicurezza alimentare”. Il cibo stesso, alimentarsi è a rischio.
Bisogna poi aggiungere un ulteriore 17,2% della popolazione mondiale (1,3 miliardi di persone) che soffre l’insicurezza alimentare a livelli moderati, cioè che non ha “accesso regolare ad alimenti nutrienti e sufficienti. La combinazione di livelli moderati e gravi di insicurezza alimentare porta il totale stimato a circa due miliardi di persone”.
A questo quadro, già drammatico, vanno sommati i 4 milioni di morti a livello globale per malattie legate al sovrappeso e all’obesità, che sono in aumento in quasi tutti i Paesi. Nel 2018, il sovrappeso infantile ha colpito 40,1 milioni di bambini sotto i cinque anni in tutto il mondo. Nel 2016 quasi due su cinque adulti (38,9%) erano in sovrappeso: significa due miliardi di adulti in tutto il mondo.
L’altro fattore critico è la dipendenza alimentare dall’estero. La maggior parte dei Paesi (52 su 65) che hanno registrato una denutrizione crescente in corrispondenza della crisi economica nel periodo 2011-2017 sono fortemente dipendenti dalle esportazioni o importazioni di materie prime.
“La crescita economica da sola non è sufficiente per ridurre la povertà estrema o migliorare la sicurezza alimentare e la nutrizione”, conclude il rapporto. “La disuguaglianza, non solo nella distribuzione del reddito ma anche nell’accesso ai servizi relativi all’alimentazione e alle infrastrutture sociali e sanitarie, ha un ruolo centrale nell’aggravare il problema. Nei Paesi con maggiori livelli di disuguaglianza, i rallentamenti e le recessioni economiche hanno un effetto sproporzionatamente negativo sulla sicurezza alimentare e nutrizionale”.