Partiamo dalla buona notizia: tra il 2010 e il 2016 la vendita di antibiotici negli allevamenti italiani è diminuita del 30%. Ma la cattiva notizia è che l’Italia rimane in testa nella classifica dei consumi di antibiotici rispetto alla maggior parte degli altri Paesi Ue. Questo quanto emerge dal rapporto della Commissione Ue sulle misure per contrastare la resistenza agli antibiotici negli animali.
In Italia la metà degli antibiotici viene consumata negli allevamenti di polli, tacchini e suini. A motivare il ricorso eccessivo agli antibiotici nei nostri allevamenti è la ancora scarsa consapevolezza sui rischi legati agli abusi di queste sostanze. A questo problema si aggiungono gli sconti e gli incentivi da parte delle società farmaceutiche che promuovono le vendite di antimicrobici agli agricoltori.
Non mancano però segnali positivi. Tra questi alcuni progetti pilota che hanno portato a una drastica riduzione nell’uso degli antimicrobici, senza compromettere la produttività e la salute degli animali, e il software per il monitoraggio volontario negli allevamenti sviluppato dell’Associazione nazionale dei medici veterinari.
Va anche precisato che in Italia il consumo di antibiotici varia molto tra regione e regione e addirittura tra Asl e Asl. Nonostante esista una legge nazionale che autorizzi l’uso degli antibiotici negli allevamenti solo in caso di necessità e con protocolli molto rigidi, in Italia spesso vengono somministrati anche agli animali sani a scopo preventivo.
“Se esiste una legge che vieta di prescrivere antibiotici agli animali se non sono malati, è chiaro che Asl e veterinari devono controllare. È una questione di salute pubblica, il meccanismo deve partire”, ha dichiarato Walter Ricciardi, professore ordinario di Igiene generale e applicata all’Università Cattolica. L’obbligo della ricetta elettronica veterinaria per i farmaci per gli animali scattato a metà aprile di quest’anno potrebbe essere un valido deterrente, ma – conclude Ricciardi – non bisogna scordare che c’è un fiorente mercato d’importazione illegale di antibiotici.
Il problema dell’abuso di antibiotici è strettamente legato con quello – gravissimo – dell’antibiotico resistenza nel settore animale. Secondo i dati del Piano nazionale di contrasto dell’antimicrobico-resistenza presentati in uno studio del Policlinico Gemelli pubblicato sulla rivista Igiene e Sanità Pubblica, il fenomeno può essere aggravato dalla trasmissione di batteri dall’animale all’uomo tramite contatto diretto o attraverso il consumo di alimenti. La ricerca sottolinea come la salmonella mostri già la presenza di ceppi resistenti a più antibiotici, ad esempio Escherichia coli, presente nelle più comuni specie allevate in Italia (tacchini 73,0%, polli 56,0%, suini da ingrasso 37,9%) e nell’uomo (31,8%).
L’antibiotico resistenza – spiega Walter Ricciardi – viene messa in moto anche da alterazioni indotte dall’alimentazione degli animali che mangiamo. Attraverso pollame, uova e carne di maiale compreso il prosciutto e i suoi derivati, si ingeriscono pezzi di genoma modificati che entrano nel genoma di chi li mangia: “In pratica il fenomeno dell’antibiotico resistenza si trasferisce dall’animale all’uomo, con il risultato che a livello ospedaliero la situazione dell’Italia rispetto agli altri Paesi della Ue continua a peggiorare”.