Il lavoro che si festeggia il 1 maggio è anche agricolo: sono 1,1 milioni i lavoratori impiegati in questo settore, in Italia.
Il biologico cresce
Secondo Federbio la crescita delle produzioni agricole certificate bio è stata esponenziale a partire dal 2010, un boom legato alle scelte alimentari dei cittadini: nel 2010 superfici coltivate a bio erano l’8,5% di quelle italiane, ora sono il 15,5% e generano un giro d’affari che lo scorso anno è stato di 6,3 miliardi di euro.
In particolare, secondo le ultimi analisi del Mipaaf, il ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali, nel 2018 in Italia si è arrivati a sfiorare i 2 milioni di ettari di superfici biologiche, con un incremento rispetto al 2017 di quasi il 3%. Significa 49 mila ettari in più in soli 12 mesi: una crescita non solo in termini di superfici ma anche di soggetti coinvolti nel settore, che hanno raggiunto le 79.000 unità, con un incremento rispetto all’anno precedente di oltre il 4%.
E proprio sul fronte occupazione, come aveva spiegato anche qui su Cambia la terra, un anno fa, Valeria Aloisio, “il biologico offre maggiori garanzie. Numeri alla mano, l’agroecologia è un settore che dà più occupazione in termini di persone impiegate e paga meglio il cibo prodotto. Sul campo convenzionale un chilo di pomodori da passata viene pagato 8 centesimi, nel biologico si arriva a pagare lo stesso chilo di pomodori anche 33 centesimi. I dati generali ci dicono che mediamente la manodopera nelle aziende bio viene pagata almeno un 6% in più”.
La manodopera straniera
Al di là dell’esempio virtuoso del biologico, sul totale dei lavoratori agricoli si stima comunque che trovino occupazione regolarmente oltre 346 mila stranieri provenienti da 155 Paesi diversi: rappresentano il 26,2% del totale del lavoro necessario nelle campagne italiane, secondo un’indagine realizzata nel 2019 da Coldiretti con il centro studi Idos. Si stima cioè che un quarto dei prodotti che finiscono sulle nostre tavole vengano raccolti da lavoratori di origine straniera. Ed è su questo elemento che, non a caso, si è concentrato, da quando è cominciata l’emergenza sanitaria da Covid19 ed è scattato il lockdown, il dibattito sul lavoro nei campi. “Mancano i braccianti”, “raccolti a rischio”: questo il ritornello. Più sull’utilità economica e produttiva, a dire il vero, che sui diritti di queste persone, a cominciare dal salario fino ai diritti di cittadinanza.
La ministra dell’Agricoltura Teresa Bellanova ha prorogato, a questo riguardo, fino al 15 giugno i “permessi di soggiorno in scadenza” dei lavoratori extracomunitari, aggiungendo che “occorrerebbe farlo fino a dicembre” ma il vero nodo resta quello della possibilità di regolarizzare le persone immigrate impiegate in agricoltura. Non solo durante l’emergenza sanitaria.
Regolarizzazione: sì, no, come?
A spendersi a favore della regolarizzazione dei braccianti di origine straniera è stato oggi Papa Francesco, rispondendo a una lettera del sindacato Fai Cisl. Una presa di posizione che fa seguito a un dibattito che dura da settimane e che ha coinvolto il mondo della politica, le associazioni di categoria, il terzo settore.
La nostra mobilitazione non si ferma!!! #REGOLARIZZATELI @RaffaeleFalcone la situazione nei #ghetti è drammatica! Bisogna fare in fretta! https://t.co/gCtX8JnZg3
— FLAI-CGIL (@flaicgil) April 29, 2020
Una sanatoria contro il Coronavirus, per garantire l’accesso alle cure e al lavoro pulito a chi vive nei ghetti del nostro Paese è la proposta, lanciata lo scorso 20 marzo, dall’associazione Terra!, Flai CGIL con una lettera aperta indirizzata al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e ai ministri competenti.
A quell’appello e alle decine di voci scese in campo, è seguita la proposta di un decreto legge, la cui bozza è stata resa pubblica il 20 aprile. Il testo con cui si dovrebbe dare la possibilità di regolarizzare le persone è però ancora in fase di studio: sono coinvolti in particolare il ministero dell’Interno, quello del Lavoro e quello dell’Agricoltura ma sono interessati anche Giustizia ed Esteri. Secondo indiscrezioni, come riporta la giornalista Eleonora Camilli su Redattore sociale, a mancare sarebbe l’accordo sui termini, con il ministero del Lavoro intenzionato a limare il testo e quello dell’Agricoltura che, invece, spinge sull’acceleratore anche dopo le prese di posizione pubbliche della ministra dell’Agricoltura Teresa Bellanova.
Su questa proposta del governo la società civile ha comunque già sollevato numerosi dubbi. L’Associazione di Studi giuridici sull’immigrazione, ad esempio, ha chiesto “una regolarizzazione non selettiva e inclusiva delle persone straniere, per fare uscire da una condizione di precarietà giuridica e lavorativa tutti i cittadini stranieri senza un permesso di soggiorno presenti in Italia. Tutti, dunque, e non solo i lavoratori di alcuni settori produttivi, come invece propone la bozza di decreto elaborata dal governo”. Sulla stessa lunghezza d’onda la campagna Ero straniero, cui aderiscono diverse associazioni, partiti e realtà che si occupano di diritti delle persone migranti, che chiede di non regolarizzare solo i migranti che lavorano in agricoltura: “Al Viminale – dichiarano – lo sanno perché sarebbe la settima regolarizzazione dal 1986 ad oggi, alimenterà la compravendita di contratti falsi, ricatti e corruzione. Maggiori sono le condizioni, più stringenti i limiti per l’accesso ad una regolarizzazione, più gli stranieri sono costretti a produrre documentazione ‘acquistandola’ pur di ottenere un titolo di soggiorno”.
Festa dei lavoratori e agricoltura: un legame storico
Di certo, è scritto nel DNA del primo maggio il suo legame profondo con l’agricoltura e le lotte dei contadini. In Italia, la festa del lavoro ricorre in questo giorno dal 1891; fu soppressa dal fascismo e poi ripristinata nel 1945. Ma assume un significato ancora più simbolico da quando, il primo maggio del 1947 duemila persone, soprattutto contadini, manifestarono contro il latifondismo a Portella della Ginestra, in provincia di Palermo. Undici persone furono uccise dalla banda di Salvatore Giuliano anche se sui mandanti e i moventi della strage ancora non si conosce la verità.
Un altro episodio di repressione di una protesta è proprio quello che ha dato il via alla festività del 1 maggio a livello mondiale. I lavoratori di Chicago nel 1886 scioperarono per il mancato rispetto della legge che istituiva il tetto delle otto ore lavorative al giorno. Vi furono scontri e proteste sedate dalle forze dell’ordine, con due vittime. Le proteste che seguirono quell’episodio furono a loro volta represse con violenza dalla polizia e culminarono nella manifestazione di Haymarket, la piazza del mercato delle macchine agricole. Nel 1890, in ricordo di tutto ciò, la Seconda internazionale socialista decise di promuovere in tutto il mondo la festa dei lavoratori il primo maggio.
Quella del 2020 sarà probabilmente in tutto il mondo una Festa del lavoro insolita, senza cortei né concerti in piazza: nonostante il coronavirus, buon primo maggio a tutte e tutti.