Mentre i ministri dell’Agricoltura della Ue concludevano martedì notte un accordo sulla politica agricola comune (Pac) post-2020, pubblicizzata come “un cambiamento di paradigma nella politica alimentare europea”, la prima sessione di votazione del Parlamento europeo sulla stessa materia vedeva un analogo compromesso tra i tre maggiori gruppi politici (Democratici cristiani del Ppe, socialisti del gruppo S&D e liberali di Renew Europe). Tutti d’accordo nel sostenere una proposta che, secondo il commissario all’Agricoltura Janusz Wojciechowski, è più ambiziosa di quella concordata dai ministri. Posizione contestata dalla Coalizione #CambiamoAgricoltura secondo cui si tratta di “un colpo di spugna che azzera ogni ambizione climatico-ambientale e minaccia la credibilità dell’intero pacchetto del Green Deal voluto dalla Commissione a guida Von Der Leyen”.
La Pac rappresenta un pilastro fondamentale dell’Unione, il più grande programma di sussidi diretti esistente al mondo: con i suoi 344 miliardi per il periodo 2021-2027 rappresenta oltre un terzo del bilancio Ue. Ma finora ha distribuito l’80% dei sussidi ai grandi produttori e alle coltivazioni intensive, lasciando il 20% ai piccoli e medi produttori che puntano sull’agricoltura di qualità.
La riforma della Pac sembra subire soprattutto le pressioni delle lobbies. Lo ha denunciato una settimana fa la ong Corporate Europe Observatory in un rapporto che rivela come la potente lobby dell’agrobusiness Copa-Cogeca, accanto alla quale si sono schierati l’industria dei pesticidi e i grandi big di quella alimentare, stia cercando di evitare che la Pac si allinei agli obiettivi del Green Deal. Il loro obiettivo ora è quello di indebolire la portata della strategia Farm to Fork e la transizione ecosostenibile tanto voluta da Ursula von der Leyen.
I negoziati interistituzionali sull’iniziativa legislativa della Commissione per riformare la Pac inizieranno quando entrambi i negoziatori – i relatori del Parlamento e un ministro della presidenza di turno dell’Ue che rappresenta l’Ue-27 – riceveranno dall’istituzione che rappresentano il mandato di negoziare per loro conto.
La riunione del Consiglio è stata considerata la “più importante in un decennio” dal ministro dell’Agricoltura tedesco Julia Klöckner, che presiede le questioni agricole durante la presidenza tedesca dell’Ue. Per convincere i ministri ad adottare il pacchetto di compromesso finale, i tedeschi hanno dovuto superare l’ultima resistenza sugli eco-schemi, un sistema concepito per realizzare gli obiettivi ambientali nella Pac. Per Klöckner è stato raggiunto “un cambio di paradigma nella politica alimentare europea”. Un primo pacchetto di compromesso proposto dalla presidenza tedesca e visto da Euractiv prevede eco-schemi obbligatori per gli Stati membri ma volontari per gli agricoltori: mancano ancora dettagli tecnici.
Klöckner ha riferito che i ministri hanno concordato una soluzione ponte con una fase di apprendimento di “due anni” in cui gli Stati membri cercheranno di esaurire tutti i fondi disponibili, in risposta ai timori in alcuni Paesi che gli eco-schemi sarebbero impossibili da attuare, il che comporterebbe la perdita di fondi dell’Ue per gli agricoltori. Per superare la resistenza dell’Italia, i ministri hanno anche concordato una maggiore flessibilità tra i due pilastri della Pac (pagamenti diretti e sviluppo rurale). In particolare, la spesa ambientale nel programma di sviluppo rurale può essere conteggiata nel primo pilastro.
Poche ore prima dell’accordo tra ministri, i deputati avevano avviato il lungo processo di votazione che alla fine si è concluso con l’approvazione della posizione negoziale del Parlamento e l’avvio dei colloqui con i ministri. Ha retto l’accordo tra i tre maggiori partiti al Parlamento europeo (Ppe, S&D e Renew Europe), raggiunto per garantire l’approvazione di una serie di emendamenti di compromesso. Il principale è che gli Stati membri saranno obbligati a destinare il 60% dei fondi per il supporto al reddito degli agricoltori, finanziamenti che finiscono prevalentemente alle grandi aziende che promuovono monocolture e agricoltura intensiva, senza prevedere alcuna misura correttiva. Tra gli altri emendamenti approvati, i legislatori europei hanno convenuto di fornire un’area di almeno il 10% di elementi paesaggistici e benefici per la biodiversità, nonché di destinare il 35% del bilancio per lo sviluppo rurale a misure ambientali e climatiche e almeno il 30% del bilancio dei pagamenti diretti per gli eco-regimi.
La notizia che tutti gli emendamenti di compromesso votati sono stati accolti è stata criticata da Ong e ambientalisti che puntavano a eliminare l’intera riforma della Pac o almeno la maggior parte degli emendamenti di compromesso. Per la Coalizione #CambiamoAgricoltura (che rappresenta 70 associazioni ambientaliste e dell’agricoltura biologica) l’approvazione del maxiemendamento rende impossibile il voto degli altri emendamenti presentati, che sono il cuore della Pac. “Sarebbe una vera ‘ecotruffa’ – denuncia – che umilia la democrazia parlamentare facendo prevalere un accordo politico condizionato dalle grandi lobby”. “Siamo molto delusi del risultato delle votazioni di ieri – affermano – ma soprattutto rimaniamo sorpresi dall’intento di alcuni gruppi politici e dei Ministri dell’Agricoltura di far passare agli occhi della stampa e dell’opinione pubblica questo voto come una svolta green della PAC, quando nei fatti non lo è assolutamente”. Una preoccupazione condivisa dal presidente di Ifoam (la federazione Ue dei movimenti per l’agricoltura biologica), Jan Plagge. “Il movimento biologico sostiene pienamente gli obiettivi delle strategie Farm to Fork e Biodiversity per ridurre l’uso di pesticidi, fertilizzanti e antibiotici in agricoltura e raggiungere il 25% dei terreni agricoli in agricoltura biologica entro il 2030″, scrive Plagge agli eurodeputati. Secondo Plagge, “i piani strategici devono sostenere questi obiettivi a favore di una agricoltura biologica e agro-ecologica attraverso entrambi i pilastri della Pac. La conversione e i pagamenti di mantenimento giocano un ruolo cruciale per rendere questo approccio del sistema biologico competitivo per gli agricoltori”. Anche l’attivista svedese per il clima Greta Thunberg ha lamentato la mancanza di attenzione riservata alla riforma della Pac che, secondo lei, ignora completamente il clima e la biodiversità.
La proposta di revisione della Pac della Commissione risale al 2018 ma il 20 maggio scorso, su pressione dell’Europarlamento, l’organo esecutivo dell’Ue ha presentato a Bruxelles un altro documento, il primo vero tentativo di politica agroalimentare integrata, che cercava proprio una coerenza con il Green Deal. Con la strategia Farm to Fork la Commissione ha fissato nero su bianco i suoi obiettivi: raggiungere una quota di almeno il 30% delle aree rurali e marine europee protette, trasformare il 10% delle superfici agricole in aree ad alta biodiversità, ridurre entro il 2030 del 50% dell’uso dei fitorfarmaci e del 20% quello dei fertilizzanti, ma anche tagliare del 50% i consumi di antibiotici per allevamenti e acquacoltura, far aumentare del 25% delle superfici coltivate a biologico ed estendere ulteriormente l’etichetta d’origine sugli alimenti. Di fatto, però, il quadro che si va delineando è molto diverso dalla strategia della Farm to Fork.
Tra le proposte più criticate, per esempio da Slow Food Europa, ci sono quelle di non prevedere un budget specifico per la protezione della biodiversità sui terreni delle aziende agricole. Per Slow Food, il Parlamento europeo rischia di “arrestare e boicottare il processo di Green Deal europeo e i suoi obiettivi, contenuti nelle strategie approvate pochi mesi fa, quelle sulla Biodiversità 2030 e la Farm to Fork”.
Uno dei nodi più importanti da sciogliere riguarda la possibilità di inserire un tetto alla quantità di sussidi che un singolo agricoltore può ricevere. E se la proposta della Commissione lascia liberi i singoli stati di decidere come impiegare le risorse Ue, il Parlamento Ue ha invece proposto l’introduzione di una soglia obbligatoria.
Al riguardo si è già espressa la ministra delle Politiche agricole, Teresa Bellanova, che ha indicato come prioritarie per raggiungere una posizione comune tra i Paesi Ue “maggiori garanzie sul ruolo delle Regioni come autorità di gestione delle misure per lo sviluppo rurale” e una decisione a livello nazionale sulla dotazione degli aiuti diretti da destinare alle pratiche ambientali. Sulla riserva dei pagamenti diretti, ha chiarito la ministra Bellanova “la proposta del 20%” per tutti “non ci vede favorevoli”, perché scelte del genere “vanno fatte” a livello nazionale “dopo una robusta valutazione dei bisogni”. L’esponente del governo è, poi, tornata a proporre di destinare “una piccola quota” della dotazione nazionale degli aiuti diretti alla gestione del rischio di catastrofi e ha invitato a tutelare le piccole aziende (meno di 2mila euro di aiuti l’anno) in caso di necessità di prelievo degli aiuti in situazioni di crisi.
Secondo la Coalizione #CambiamoAgricoltura quella assunta dalla ministra “è una posizione arretrata, ostile al cambiamento dei modelli produttivi della nostra agricoltura ed avversa ad una seria conversione ecologica coerente con gli obiettivi delle Strategie Ue”.