Pac: se l’Europa soffre di sindrome bipolare

Eleonora Evi, una dei 5 europarlamentari italiani ad aver votato contro: “La riforma della politica agricola comunitaria è un’operazione di greenwashing in contrasto con le nuove strategie e dovrebbe essere ritirata”

di Maria Pia Terrosi

Una riforma deludente che propone un modello di agricoltura vecchio e non adatto a rispondere alle sfide che ci aspettano. La Pac votata all’Europarlamento è stata definita dalle associazioni ambientaliste una sconfitta per la biodiversità, per il clima e per gli agricoltori virtuosi. Eppure è passata con una larga maggioranza. Perché è andata così? Cosa si può fare ancora? Eleonora Evi, cinque stelle, è una dei 5 europarlamentari italiani che hanno votato no alla nuova Pac, ecco il suo punto di vista.

Perché ha votato no alla Riforma della Pac?

Questa Pac non porta nulla di buono e non consente al mondo agricolo di fare quell’avanzamento che tutti ci aspettavamo. Mi sembra un testo molto debole che di fatto lascia le cose allo status quo, mantenendo tutta una serie di storture presenti nella Pac attuale, quella che va dal 2014 al 2020. Mi riferisco ad esempio al fatto che con la nuova Pac saranno ancora le grandi aziende agricole a beneficiare di gran parte delle risorse visto che i pagamenti continueranno a essere erogati con criteri quantitativi, ovvero in base agli ettari di terreno posseduti. In questo modo i piccoli agricoltori continueranno a essere danneggiati, mentre era l’occasione buona per adottare criteri di distribuzione più equi.

Fortunatamente il testo approvato fissa un tetto massimo ai sussidi erogati pari a 100.000 euro ad agricoltore che tuttavia, grazie a un emendamento approvato, potrà essere derogato in taluni casi da parte degli Stati membri. Io avevo proposto un tetto di 60.000 euro così da tutelare veramente piccoli e medi agricoltori, ma il mio emendamento purtroppo non è passato. Questo aspetto iniquo peraltro era stato sottolineato anche nella strategia Farm to Fork  e a maggio scorso la stessa Commissione aveva detto che la Pac futura avrebbe dovuto metter fine a questa distorsione. Purtroppo così non è avvenuto.

Eppure viene presentata come una vittoria per l’ambiente…

Questa riforma della Pac non solo, come dicevo, non ha rimediato alle varie storture presenti in quella attuale, ma continua a sostenere un modello di agricoltura vecchio che non guarda al futuro. Quello che mi dispiace molto è che venga presentata come un passo avanti importante verso la transizione ecologica mentre purtroppo io di verde ci vedo molto poco. Anche gli ecoschemi, il famoso 30% di risorse destinato a finanziare gli agricoltori che vogliono andare oltre i requisiti di base e  migliorare le prestazioni ambientali e climatiche, rischiano di mancare l’obiettivo visto che contengono tante cose che non hanno niente a che vedere con la tutela dell’ambiente e gli obiettivi climatici.

Così come il 10% di biodiversità da garantire nei campi agricoli indicato nella Strategia Biodiversità, inserito nella Pac e sbandierato come un grande risultato. Peccato che questo sia stato inserito come un “considerando” non come un articolo. E c’è una bella differenza visto che il “considerando” non è un obbligo, non è vincolante, mentre un articolo lo è. Di qui l’accusa che io ho rivolto di aver fatto con questa Pac una vera e propria operazione di greenwashing.

Come è possibile che la stessa Europa abbia votato la strategia Farm to Fork e ora  questa Pac?

Va detto che la Pac che è stata appena votata è figlia della Commissione Juncker, cioè  della Commissione precedente alla Von der Leyen. Il testo di questa Pac è stato scritto da Juncker. Nel frattempo c’è stato un ricambio del Parlamento e la stessa Commissione è cambiata. La nuova presidente Ursula Von der Leyen sta andando nella giusta direzione: a gennaio ha proposto il Green Deal, a maggio la Strategia per la Biodiversità e poi la Farm to Fork. Sono documenti molto ambiziosi e coraggiosi che mostrano con chiarezza come la nuova Commissione stia andando nella giusta direzione. Non così invece per il testo della Pac decisamente non all’altezza delle sfide che stiamo vivendo.

Il voto europeo contrasta fortemente con le posizioni di buona parte della società civile, del mondo dell’associazionismo e delle ong.

Per fortuna i cittadini sono sempre più informati e consapevoli di come funzionano certe cose. Prendiamo l’esempio degli allevamenti intensivi, un tema per il quale mi batto da anni e che presenta grandi criticità ambientali. Insieme ai Verdi avevamo presentato degli emendamenti per cercare almeno di definire cosa sono gli allevamenti intensivi, perché oggi non c’è neppure una definizione giuridica a livello europeo. E’ evidente che senza una definizione chiara diminuisce anche la possibilità di controllare e fissare dei limiti. Ora sento dire che sul tema degli allevamenti intensivi questa Pac è un grande successo perché richiama il rispetto della legislazione europea sul benessere degli animali. Un’altra presa in giro. La legislazione europea sul benessere animale è vecchia di 20 anni, è farraginosa e non vieta nulla. È superata: noi infatti avevamo chiesto che almeno si aggiornasse la definizione di cosa è il benessere degli animali alla luce delle ultime ricerche scientifiche. Sarebbe stato un bel passo avanti. Non ci siamo riusciti e anche in questo caso la Pac mette in mostra un bel titolo da sbandierare senza poi cambiare nulla nei fatti.

Una riforma superata dai fatti, dunque.

Questo è un aspetto importante da capire. In un momento come quello attuale in cui molti cittadini diventano sempre più consapevoli e sensibili è assurdo rimanere ancorati a istanze legate a un mondo passato, a modelli superati. Il fatto è che purtroppo queste istanze vengono ancora rappresentate dalle associazioni di categoria che anche in questa circostanza hanno fatto un’azione di lobbying molto forte. E la maggior parte dei rappresentanti italiani al Parlamento europeo ha dato ascolto a queste voci.

La contraddizione è evidente. Non più tardi di dicembre il Parlamento Europeo aveva votato una risoluzione sull’emergenza climatica e poi sulla biodiversità. E’ come dire che fissiamo in maniera chiara quali sono i problemi ma poi evitiamo di dotarci degli strumenti concreti per affrontarli.

Cosa succederà ora?

Ora Parlamento, Consiglio e Commissione dovranno incontrarsi e trovare un accordo su un testo finale. Credo che alla luce della mobilitazione che si sta creando nella società e anche tra alcuni europarlamentari – stanno circolando delle lettere nel Parlamento Europeo indirizzate in tal senso alla Presidente Von der Leyen – questa Pac dovrebbe essere ritirata. Siamo ancora in tempo. Per questo penso che la Commissione, che in Europa ha il potere di iniziativa legislativa, dovrebbe ritirare questa proposta e presentarne una nuova. So che è difficile ma i tempi ci sono e se c’è la volontà politica ci si può riuscire.

Infine voglio precisare una cosa. In questi giorni mi hanno accusata di voler  mettere a rischio il sostegno ai nostri  agricoltori che dal 31 dicembre di quest’anno si sarebbero visti chiudere i rubinetti. Ecco, questo è assolutamente falso: evidentemente i miei colleghi non sono ben informati e non sanno che la Pac attuale, che doveva terminare a dicembre, lo scorso giugno è stata prorogata per altri due anni. In pratica noi avremo a che fare con questa Pac fino a dicembre 2022. Quindi ci sarebbe stato il tempo di lavorare a un nuovo testo più efficace e in linea con il Green Deal europeo.

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