C’è un’Europa che vota la strategia Farm to Fork, la strategia Biodiversità, il Green Deal, il Recovery Fund finalizzato all’aumento della sicurezza ambientale, sanitaria ed economica. E c’è un’Europa che vota la Pac. Queste due Europe non si parlano. Sarà che la “politica agricola comune” è un lessico antico che rimanda alla Comunità europea del carbone e dell’acciaio creata nell’immediato dopoguerra. Sarà che la strategia viene vissuta da una parte del mondo politico come un nobile proposito per il futuro mentre la concretezza si alimenta del passato. Fatto sta che la votazione del Parlamento europeo sulla Pac ha sancito una netta spaccatura.
All’ampio accordo politico (buona parte dei socialisti, popolari, liberali) che ha portato all’accordo parlamentare sulla nuova politica agricola comune non corrisponde infatti un’intesa altrettanto ampia nell’opinione pubblica. Greta Thunberg e i giovani del movimento Fridays for Future si erano battuti fino all’ultimo in difesa di una riforma della Pac in grado di dare soluzioni concrete ai problemi ambientali globali. L’associazione CambiamoAgricoltura (a cui aderiscono Associazione Medici per l’ambiente, Aiab, Associazione agricoltura biodinamica, Fai, FederBio, Legambiente, Lipu, Pronatura e Wwf) ha definito il voto dell’Europarlamento una “sconfitta per la biodiversità, il clima e gli agricoltori virtuosi”. I Verdi hanno votato contro senza esitazioni.
Un comunicato stampa del Parlamento europeo sottolinea invece una visione opposta dell’accordo: “I deputati intendono dedicare almeno il 35% del bilancio per lo sviluppo rurale a qualsiasi tipo di misura legata al clima o all’ambiente. Almeno il 30% del bilancio per i pagamenti diretti sarà destinato a regimi ecologici volontari che potrebbero aumentare il reddito degli agricoltori”. E Paolo De Castro e Herbert Dorfmann, coordinatori S&D e Ppe alla commissione Agricoltura del Parlamento europeo affermano: “L’equilibrio trovato nel compromesso raggiunto dopo mesi di negoziazioni garantirà sostegno e sicurezza ai nostri agricoltori per il prossimo decennio, con una nuova Pac più sostenibile non solo dal punto di vista ambientale, ma soprattutto economico e sociale”.
Come è possibile che ci siano due letture così divergenti dello stesso testo? “La discussione sulla Pac è stata effettuata con l’orologio bloccato a due anni fa: prima del Green Deal, delle strategie Farm to Fork e Biodiversità, prima del Covid”, risponde Maria Grazia Mammuccini, presidente di FederBio. “Quell’impostazione ormai è superata dai fatti. Negli ultimi due anni lo scenario è cambiato radicalmente e quindi quelle proposte non funzionano più non solo dal punto di vista ambientale e sanitario ma anche dal punto di vista economico. Continuiamo a buttare un mare di denaro, più di un terzo del budget europeo, nella stessa direzione fallimentare che ha già reso più poveri e deboli gli agricoltori: quella dell’agricoltura intensiva, ad alto impatto chimico e a scarsa resa economica”.
Alcuni punti delle novità messe in campo dalla Commissione sono stati accolti. Ad esempio il 10% di biodiversità da garantire nei campi e il riferimento agli ecoschemi. “Ma rischiano di restare affermazioni vuote: mancano gli indicatori per misurare lo spostamento dell’agricoltura verso un modello a basso impatto ambientale e a maggiore resa economica”, continua Mammuccini. “Manca l’indicazione di un obiettivo di riduzione del 30% dei gas serra emessi dall’agricoltura entro il 2027. E gli ecoschemi restano nel vago. In sostanza un terzo dei fondi europei in questo modo prenderebbe la vecchia strada che ci ha portato alle difficoltà attuali: i soldi arrivano a pioggia, a prescindere dalla qualità della produzione. Ma se cominciamo a distrarre dalle finalità del Green Deal più di un terzo dei finanziamenti europei, con che fondi si organizzeranno le politiche innovative che devono servire a rendere sempre più competitiva la nostra economia?”
La partita comunque non è chiusa. Ora la proposta passerà alla discussione nel “Trilogo” (Commissione, Parlamento e Consiglio Ue). La Commissione dovrà valutare se gli impegni che ha preso di fronte all’opinione pubblica e ai mercati assicurando che l’Unione europea avrebbe premuto sul pedale dell’innovazione per uscire dalla crisi sono compatibili con un’impostazione della politica comunitaria così attenta agli equilibri del passato.