Rivolta contadina in India contro le nuove leggi varate dal governo del primo ministro Narendra Modi che deregolamentano il mercato finora protetto dallo Stato, liberalizzano i prezzi dei prodotti agricoli e aprono al capitale privato. I contadini temono di perdere le loro attività, inghiottite dalle grandi multinazionali, che spingeranno verso il basso i prezzi dei prodotti agricoli, incoraggiando le monocolture, essenzialmente legumi e cereali, e facendo aumentare i prezzi dei prodotti alimentari. Gli agricoltori rimproverano inoltre al governo di aver varata la riforma con una decisione unilaterale e senza alcuna consultazione con il sindacato e hanno chiesto la completa abrogazione.
Dopo oltre 50 giorni di massicce proteste nella capitale Nuova Delhi, nel giorno della festa nazionale, il 26 gennaio, un gruppo di migliaia di scioperanti ha raggiunto il Forte Rosso, Lal Qila, simbolo importantissimo per l’India. Fu la prima residenza della dinastia islamica dei Mughal nel 1648. Proprio qui, il primo premier indiano, Jawaharlal Nehru, issò la bandiera nazionale indiana il 15 agosto del 1947.
La polizia ha colpito i manifestanti con manganelli e sparato gas lacrimogeni per cercare di disperdere la folla di migliaia di agricoltori. È stato confermato che un manifestante è morto negli scontri e dozzine di poliziotti e manifestanti sono rimasti feriti. “Abbiamo protestato negli ultimi sei mesi, ma il governo non si è preoccupato di ascoltarci”, ha detto Singh un contadino del Punjab, riporta The Guardian. “Questo è stato un messaggio al governo che possiamo farlo di nuovo se le nostre richieste non vengono soddisfatte”.
La modernizzazione del paese che porta avanti il premier Modi attraverso una liberalizzazione del mercato tende ad avvantaggiare soprattutto i grandi gruppi industriali, con poche tutele per la maggioranza degli agricoltori. L’agricoltura impiega oltre il 40% della popolazione indiana, ma è un settore afflitto da povertà e inefficienza. Gli agricoltori, che vivono in piccoli appezzamenti o sono mezzadri senza terre, spesso vendono i loro raccolti a meno del costo. I tassi di suicidio tra agricoltori indiani sono tra i più alti al mondo.
Gli agricoltori lamentano che la loro situazione è stata ignorata per decenni e che i cambiamenti, volti a portare investimenti privati nell’agricoltura, metteranno gli agricoltori solo alla mercé delle grandi aziende multinazionali.
Nove cicli di negoziati tra gli agricoltori e il governo non sono riusciti a raggiungere un accordo. La vicenda è finita alla Corte Suprema che ha bloccato le nuove leggi. Inoltre, ha istituito un comitato speciale per tentare di risolvere la situazione di stallo. Ma la trattativa si è subito arenata di fronte all’accusa, da parte dei rappresentanti degli agricoltori, che il comitato è troppo filo-governativo. Gli agricoltori hanno rifiutato un’offerta del governo di sospendere le leggi per 18 mesi, dicendo che si sarebbero accontentati solamente di una loro completa abrogazione.