Donne che lavorano in agricoltura hanno un rischio maggiore di sviluppare patologie legate all’esposizione ai pesticidi rispetto agli uomini. Quasi doppio secondo uno studio pubblicato sull’American Journal of Industrial Medicine. Una delle principali ragioni sta nel fatto che molti dei fitofarmaci impiegati hanno effetti negativi – anche a lungo termine – sul sistema ormonale e sull’apparato riproduttivo.
Il rischio aumenta se l’esposizione ai pesticidi avviene durante le prime settimane di gravidanza, con conseguenze sul nascituro. Secondo l’Association of Farmworker Opportunity Programs, l’esposizione durante la gravidanza fa crescere il rischio di aborti spontanei, nascite premature, neonati sottopeso e con patologie. Un problema che si sta aggravando visto che cresce il numero delle donne occupate nel settore. Negli Usa oggi rappresentano più del 25% della forza lavoro totale. In significativo incremento rispetto al 18,6% del 2009.
Complessivamente nel mondo il 43% della forza lavoro occupata in agricoltura è costituita da donne. Una percentuale che cambia in relazione alle varie realtà. In alcuni Paesi dell’Africa sub sahariana, ad esempio, 8 donne su 10 lavorano nel settore agricolo. In Tanzania le donne rappresentano il 70% della forza lavoro occupata nell’orticoltura.
In questi contesti per le donne ci sono rischi aggiuntivi di esposizione ai pesticidi legati ad altre attività da loro svolte “tradizionalmente”. Ad esempio il lavaggio degli indumenti contaminati oppure il riutilizzo dei contenitori dei fitofarmaci. Inoltre, sebbene le donne svolgano le stesse attività degli uomini, spesso ricevono una ancor minore formazione sulla corretta gestione di queste sostanze. Senza contare che in alcune realtà il livello di alfabetizzazione nella popolazione femminile è così basso da non permettere alle donne una totale comprensione di quanto scritto nelle etichette e nelle istruzioni di utilizzo dei prodotti.