Un metodo agricolo elitario e non in grado di soddisfare il fabbisogno alimentare di tutti: lo abbiamo sentito dire tante volte del biologico. Ma l’affermazione non tiene a un’analisi scientifica di tutti i parametri in gioco. Al contrario nel 2050 il biologico potrebbe riuscire a sfamare tutta la popolazione europea, pari per quella data a 600 milioni di persone. Con il vantaggio di ridurre l’inquinamento idrico, le emissioni di gas serra e dimezzare le emissioni di azoto dovute all’uso eccessivo di fertilizzanti.
Queste le conclusioni a cui sono arrivati i ricercatori del National Center for Scientific Research (Cnrs) presentate nello studio “ Rimodellare il sistema agroalimentare europeo e chiuderne il ciclo dell’azoto: le potenzialità per coniugare cambiamento alimentare, agroecologia e circolarità”, realizzato in collaborazione con alcune università europee (l’Universidad Politecnica de Madrid, la Chalmers University of Technology di Gothenburg, l’University of Natural Resources and Life Sciences di Vienna), con il Joint Research Centre (JRC) della Commissione europea e con l’Ispra.
Un obiettivo ambizioso ma raggiungibile a patto di agire contemporaneamente su tre leve. Prima di tutto gli europei devono modificare i comportamenti alimentari, riducendo il consumo di carne (con vantaggi anche sul piano sanitario). In secondo luogo occorre generalizzare le pratiche agroecologiche e la rotazione delle colture. Infine bisogna sfruttare meglio la complementarietà tra le coltivazioni e l’allevamento.
Cambiare i comportamenti a tavola
Oggi il 55% della dieta degli europei è rappresentato da proteine di origine animale (carne, latte, uova, pesce). Un consumo eccessivo, quasi il doppio di quanto raccomandato da Fao e Oms che indicano per tali alimenti una quota massima pari al 30%.
“Il primo obiettivo di questo cambio di dieta è la salute”, afferma Gilles Billen, uno degli autori dello studio. “E’ noto che un consumo eccessivo di carne e latte è spesso associato a problemi cardiovascolari e a cancro del colon retto. Naturalmente contenere il consumo di proteine animali ha anche molti vantaggi per l’ambiente. Riduce l’inquinamento idrico e le emissioni di gas serra degli allevamenti intensivi”.
Rotazione delle colture
La seconda leva su cui lo studio suggerisce di puntare è l’applicazione della rotazione delle colture. “Prendiamo il caso di un agricoltore che ha dieci appezzamenti di terreni nella sua azienda. Su un terreno coltiverà l’erba medica, un legume che fissa l’azoto per due anni. Poi su questo stesso appezzamento coltiverà cereali che si nutriranno dell’azoto ceduto al terreno dall’erba medica. Poi pianterà un altro tipo di leguminosa, e così via”, riassume Gilles Billen.
In questo sistema i legumi giocano un ruolo chiave migliorando i livelli di azoto, la qualità del terreno e permettendo di limitare l’uso di pesticidi. “I legumi come l’erba medica o il trifoglio sono piante che invadono il terreno molto rapidamente e che impediscono alle erbe infestanti di stabilirsi”, spiega Gilles Billen. “Una volta che questi legumi sono stati coltivati, il terreno viene arato e l’agricoltore ha un appezzamento senza erbacce”.
Connettere coltivazioni e allevamento
La terza leva, infine, consiste nello sfruttare le sinergie tra coltivazione e allevamento. Se fino agli inizi del secolo il sistema agricolo europeo era basato sulla complementarietà tra la coltivazione e l’allevamento, oggi queste attività spesso tenute separate e concentrate in regioni altamente specializzate. Nello scenario suggerito dallo studio i bovini si nutrono di erba su praterie ricche di legumi e i loro escrementi vengono utilizzati per trasferire azoto ai seminativi.
Ma oggi tornare a questa complementarità richiederebbe una rottura completa con l’attuale sistema agricolo europeo. Gilles Billen spiega: “Quando siamo stati in grado di utilizzare fertilizzanti azotati industriali, non abbiamo più avuto bisogno di bestiame per fertilizzare i seminativi. Abbiamo quindi specializzato eccessivamente le regioni tra coltivazione e allevamento. Questo spiega perché zone come l’Île-de-France sono dominate dalla coltivazione dei cereali, mentre altre meno fertili come la Bretagna sono specializzate nell’allevamento. Con la conseguenza che ci sono suoli impoveriti di carbonio e materia organica a causa dell’assenza di bestiame e altri penalizzati economicamente dalla mancanza di raccolti”.