Ridurre l’impatto ambientale dell’agricoltura e contemporaneamente nutrire una popolazione umana in crescita esponenziale mentre la crisi climatica si aggrava è una delle sfide più urgenti del mondo. E una delle questioni più critiche è come garantire la sicurezza alimentare a fronte di sistemi agricoli già sottoposti agli stress del cambiamento climatico e dell’agricoltura industriale.
Le varietà selvatiche delle colture alimentari, i cosiddetti parenti selvatici delle colture (Crop wild relatives Cwr), possiedono una variabilità genetica che può aiutare ad adattare l’agricoltura a un ambiente in evoluzione e ad aumentare in modo sostenibile i raccolti per affrontare la sfida della sicurezza alimentare. Tuttavia “oltre 70 parenti selvatici di alcune delle colture più importanti del mondo sono a rischio di estinzione”, certifica lo studio Extinction risk of Mesoamerican crop wild relatives. Pubblicato sulla rivista scientifica Plant People Planet e presentato al World Conservation Congress dell’Unione mondiale per la conservazione della natura (Iucn) in corso a Marsiglia.
Si tratta di piante originarie di Messico, Guatemala, El Salvador e Honduras che forniscono le risorse genetiche necessarie per coltivare specie commerciali in tutto il mondo e che sono state coltivate per la prima volta dagli Aztechi, dai Maya e da altre civiltà tra 5.000 e 10.000 anni fa. Delle dozzine di parenti selvatici studiati, almeno 16 sono stati utilizzati per favorire colture con una maggiore resilienza ai cambiamenti climatici, ai parassiti e alle malattie, nonché per migliorare i raccolti. Tra questi, zucche che possono resistere meglio al freddo e alla peronospora, e patate resistenti alla siccità, così come il mais che produce una resa maggiore.
Lo studio ha analizzato 224 piante strettamente imparentate con mais, patate, fagioli, zucca, peperoncino, vaniglia, avocado, pomodoro e cotone e ha rilevato che “il 35% di queste specie selvatiche è minacciato di estinzione, poiché gli habitat selvatici sono stati convertiti all’utilizzo umano, in combinazione con il passaggio dai sistemi agricoli tradizionali alla meccanizzazione e all’uso diffuso di erbicidi e pesticidi. Specie invasive e parassiti, contaminazione da colture geneticamente modificate, raccolta eccessiva e disboscamento rappresentano ulteriori minacce”.
In particolare, il gruppo di piante selvatiche a più alto rischio di estinzione è la vaniglia, con tutte e 8 le specie presenti nella regione mesoamericana elencate come minacciate di estinzione o in pericolo critico e inserite nella Lista rossa dello Iucn delle specie minacciate. Seguite dal 92% delle specie selvatiche di cotone (Gossypium ) e dal 60% di avocado (Persea). Due gruppi legati al mais, Zea e Tripsacum, sono minacciati rispettivamente per il 44% e il 33% delle specie. Sono minacciate di estinzione anche il 31% delle specie di fagioli, il 25% delle specie di peperoncini, il 23% delle specie delle patate, il 12% delle specie di pomodori e il 9% delle specie di zucca. Ma anche i parenti selvatici di altre colture alimentari come banana, mela, prugne e zenzero sono nella lista rossa in quanto minacciati.
Per Bárbara Goettsch, autrice principale di questo studio finanziato dalla Darwin Initiative, “la salinità del suolo sta cambiando e queste piante non hanno la capacità di adattarsi. Inoltre, a causa del cambiamento climatico, anche i parassiti e le malattie si alterano e questo può avere un impatto enorme sulle piante coltivate. Questi risultati hanno implicazioni potenzialmente critiche per i mezzi di sussistenza e la sicurezza alimentare. E’ essenziale che i settori della conservazione e dell’agricoltura lavorino insieme per salvaguardare i parenti selvatici delle colture della Mesoamerica, sostenendo al contempo le economie e i mezzi di sussistenza rurali. Queste specie devono essere protette sul territorio attraverso una produzione agricola sostenibile e diversificata. Allo stesso tempo, la diversità genetica dei parenti selvatici delle colture deve essere meglio rappresentata nelle banche genetiche”.
https://nph.onlinelibrary.wiley.com/doi/full/10.1002/ppp3.10225