Proprio mentre in Italia si sta concludendo la Campagna di Cambia la Terra sulla salute del suolo e il rischio chimico legato all’uso di pesticidi, una ricerca statunitense ha analizzato quanto e come le diverse coltivazioni incidono sulla qualità del terreno.
La ricerca pubblicata su “Agrosystems, Geosciences and Environment” ha esaminato campioni di terreni agricoli coltivati a monocoltura (rispettivamente a mais e soia) mettendoli a confronto con suoli di ecosistemi di graminacee perenni. I diversi suoli sono stati poi valutati in relazione alla presenza di popolazione batterica e fungina e degli enzimi prodotti dai microbi correlati ai cicli di carbonio, azoto, fosforo e zolfo del suolo (Cnps). La salute del suolo è infatti strettamente connessa alla sostanza organica presente e alle comunità microbiche che regolano le funzioni essenziali del suolo.
E’ emerso che i terreni con le graminacee presentavano i migliori indicatori di salute del suolo. Sia la sostanza organica del suolo che l’attività del Cnps sono più elevate rispetto alle colture monocolturali di 2 o 3 volte. Anche le comunità microbiche sono notevolmente diverse tra le colture monocolturali e i suoli erbacei perenni. Lo studio rileva che questi ultimi sistemi hanno maggiore diversità microbica – un fattore positivo per il terreno – e una presenza molto più elevata (otto volte di più ) di funghi micorrizici.
In particolare, secondo la ricerca Usa, il rapporto tra funghi e batteri va messo in relazione con la frequenza dell’aratura che nei sistemi di monocoltura si verifica ogni anno dopo il raccolto. Una lavorazione che danneggia le connessioni fungine che aiutano a stabilizzare il suolo, peggiorandone la qualità.
Inoltre – si legge nello studio – i suoli agricoli a gestione intensiva, con lavorazioni più frequenti e alti apporti di fertilizzanti, tendono ad essere dominati dai batteri. Al contrario, pratiche di gestione più sostenibili aumentano la quantità complessiva di funghi nel suolo.
“Le pratiche di gestione agricola che limitano gli elementi di disturbo del suolo, riducono gli input chimici e aumentano la quantità di tempo in cui il suolo è coperto da una coltura viva contribuiscono a migliorare la salute biologica del suolo”, ha affermato uno degli autori dello studio, Lori Phillips. “Una migliore salute biologica del suolo porterà ad aziende agricole più redditizie e sostenibili”.