La Politica agricola comune 2014-20 ha promosso “più verosimilmente un maggiore utilizzo dell’acqua, anziché una maggiore efficienza”. Lo scrive la Corte dei Conti Ue in una relazione sull’utilizzo idrico sostenibile in agricoltura. Secondo i revisori contabili della Ue, che hanno condotto audit in 11 Paesi e regioni tra cui l’Emilia-Romagna, gli agricoltori europei hanno diminuito l’utilizzo di acqua del 28% rispetto al 1990, ma la “pressione sulle risorse idriche resta a livelli elevati difficilmente sostenibili”.
La relazione raccomanda quindi alla Commissione di chiedere agli Stati membri di giustificare i livelli di tariffazione dell’acqua e le esenzioni dall’obbligo di autorizzazione all’estrazione idrica per l’agricoltura, di rafforzare la condizionalità degli aiuti della nuova Pac al rispetto di pratiche di uso sostenibile delle acque, e di utilizzare a questo scopo anche i fondi per lo sviluppo rurale.
Tenendo presente che un quarto del volume totale delle acque estratte nell’Ue è destinato all’agricoltura, principalmente all’irrigazione, la Commissione europea ha riconosciuto che l’agricoltura biologica “tende ad avere un impatto ambientale limitato, in quanto incoraggia, tra l’altro, a mantenere la biodiversità e la qualità delle acque e a migliorare la fertilità del suolo”. Infatti i terreni bio hanno un fabbisogno inferiore di acqua, grazie a pratiche come il sovescio e la cura della sostanza organica presente nei suoli. Per questo i suoli coltivati con i metodi biologico e biodinamico – secondo un’elaborazione dei dati dell’Istituto svizzero Fibl – sono in grado di trattenere fino al 55% in più di acqua rispetto a quelli coltivati con la chimica di sintesi e i fertilizzanti industriali, grazie alla qualità dell’humus presente.
La relazione della Corte dei conti Ue ricorda che l’approccio dell’Ue alla gestione delle risorse idriche è basato sulla direttiva quadro sulle acque del 2000 che ha introdotto “politiche relative all’uso sostenibile delle acque e stabilito l’obiettivo di raggiungere un buono stato quantitativo di tutti i corpi idrici dell’Ue”. Anche la politica agricola comune (PAC) “riveste un ruolo importante nella sostenibilità delle risorse idriche, offrendo strumenti che possono contribuire a ridurre le pressioni su queste ultime, quali subordinare l’erogazione dei pagamenti a pratiche più rispettose dell’ambiente e finanziare infrastrutture di irrigazione più efficienti”.
Tuttavia queste norme comunitarie a tutela delle acque vengono bypassate dalle disposizioni nazionali perché “gli Stati membri concedono agli agricoltori numerose deroghe, anche in regioni soggette a stress idrico, consentendo le estrazioni idriche”. Inoltre “alcune autorità nazionali raramente comminano sanzioni per gli usi illegali di acqua individuati”.
Anche se la direttiva quadro sulle acque prescrive che gli Stati membri siano tenuti ad applicare il principio “chi inquina paga”, tuttavia dal momento che l’acqua utilizzata a fini agricoli resta più economica, molti Stati membri non recuperano i costi dei servizi idrici in agricoltura. E agli agricoltori non viene fatturato il volume effettivo delle acque utilizzate. Anche il meccanismo di condizionalità della Pac (che subordina i pagamenti al rispetto di determinati obblighi ambientali) non produce quasi alcun effetto, osserva la Corte. Gli obblighi non si applicano a tutti gli agricoltori e, in ogni caso, gli Stati membri non effettuano abbastanza controlli e verifiche adeguate per scoraggiare realmente l’utilizzo non sostenibile delle risorse idriche. Quindi, secondo la Corte, non c’è dubbio che l’Ue abbia finanziato aziende agricole e progetti che compromettono l’utilizzo sostenibile delle risorse idriche.
“L’acqua è una risorsa limitata, e il futuro dell’agricoltura dell’Ue dipende in larga misura da quanto gli agricoltori la usino in modo efficiente e sostenibile” ha affermato Joëlle Elvinger, il membro della Corte dei conti europea responsabile della relazione. “Finora, tuttavia, le politiche dell’Ue non sono state abbastanza efficaci nel ridurre l’impatto dell’agricoltura sulle risorse idriche”.
“Entro il 2026, gli interventi previsti dal Pnrr, per 4,3 miliardi di euro, intendono potenziare infrastrutture di approvvigionamento idrico primario, reti di distribuzione, fognature e depuratori, soprattutto nel Meridione; digitalizzare e distrettualizzare le reti di distribuzione; ridurre del 15% le dispersioni in 15.000 km di reti idriche (oggi pari al 42%), e ottimizzare i sistemi di irrigazione nel 12% delle aree agricole”, ha commentato la Coalizione #CambiamoAgricoltura. “Considerate le risorse stanziate dal Pnrr riteniamo che il Piano strategico nazionale della Pac post 2022 dovrà invece dare priorità alla riduzione dei consumi e alla piena attuazione della direttiva quadro Ue sulle acque, garantendo il flusso minimo vitale dei corsi d’acqua del nostro Paese che presentano complessivamente uno stato di conservazione non soddisfacente. Per quanto riguarda gli acquiferi, i dati raccolti da Ispra segnalano, su 869 corpi idrici esaminati, poco più della metà con stato chimico “buono” (57,6%), il 25% “scarso” (80% in Calabria) e il 17,4% non ancora classificato”.