Alla fine, dopo più di un anno di proteste, i contadini indiani hanno avuto la meglio. Il premier Narendra Modi ha infatti annunciato il ritiro della sua riforma agraria. Presentata dal governo indiano come un provvedimento cardine per la modernizzazione e liberalizzazione del Paese, è stata profondamente osteggiata dai piccoli agricoltori che l’hanno considerata un fattore di rischio per la loro sopravvivenza.
Il punto centrale della riforma di Modi consisteva nella possibilità per gli agricoltori di vendere i propri prodotti direttamente ad aziende private. Ovvero al di fuori dei mercati all’ingrosso regolamentati dallo Stato che oggi garantiscono ai contadini un prezzo minimo di acquisto per le merci.
Questa che può sembrare una possibilità in più per i contadini indiani, in realtà – considerata la disparità delle forze in campo – rischiava di essere esattamente il contrario: uno strumento per togliere ai piccoli agricoltori ogni tutela nei confronti delle corporation che si sarebbero trovate a fare il bello e cattivo tempo. Tanto più che la riforma di Modi prevedeva anche il divieto per i contadini di portare in giudizio le grandi imprese.
“Si tratta di una vittoria dei contadini sulle corporation”, ha commentato Chukki Nanjundaswamy, una leader sindacale contadina indiana. “Una vittoria che è costata ai contadini in questi 14 mesi di proteste più di 700 morti di freddo. Ma sappiamo bene cosa significherebbe precipitare nelle mani delle multinazionali: sarebbe la fine”, conclude.
La decisione del governo indiano è risultata piuttosto inattesa. Durante i 14 mesi di protesta Narendra Modi non ha mai voluto incontrare le organizzazioni dei contadini. Eppure durante il discorso in tv nel quale ha annunciato il ritiro della riforma Modi ha affermato di averlo fatto nell’interesse soprattutto dei piccoli agricoltori. Quelli con meno di 2 ettari di terreno. In India quasi la metà della popolazione (1,3 miliardi di persone) è occupata nel settore agricolo che però rappresenta solo un quinto del PIL del Paese.
Gran parte dei contadini indiani infatti hanno piccole estensioni – l’86% aziende è inferiore ai 2 ettari – e sono privi dei mezzi economici necessari ad aumentare la produttività del loro terreno e a fronteggiare eventi avversi. Spesso poi i titoli di proprietà non sono chiari e non consentono di ottenere prestiti. Ciò è particolarmente vero per le donne contadine, che per motivi culturali non possono rivendicare la loro legittima eredità fondiaria.