Tute, maschere con filtri per la respirazione, guanti, occhiali, stivali. Sono alcuni dei dispositivi di protezione obbligatori – dpi – per i lavoratori agricoli che utilizzano pesticidi. Rappresentano l’ultima difesa della salute degli agricoltori, messa sempre più a rischio dall’eccesso di pesticidi e fertilizzanti usati nei campi. Un’overdose di chimica che ha sempre più evidenti connessioni con l’insorgenza di malattie, tra cui tumori, linfomi, malattie neurodegenerative come il morbo di Parkinson.
#PesticidiAlLavoro è un’inchiesta sulle conseguenze sulla salute per gli agricoltori che impiegano i pesticidi coordinata da Investigative Reporting Denmark e Le Monde. Pubblicata su Irpimedia ha cercato di capire se davvero i dispositivi di protezione funzionano.
In questo scenario il primo problema è costituito proprio dal mancato utilizzo dei dpi, considerati costosi e scomodi. Nel 2006 un’indagine francese rivelò che solo il 40% degli agricoltori usava i dispositivi di protezione personale. Una percentuale molto ridotta, si spera aumentata negli anni dall’accresciuta consapevolezza dei rischi che si corrono. Ma gli alti costi dei dispositivi spesso portano gli agricoltori a riutilizzarli, quando invece dovrebbero essere monouso.
“Al di fuori delle serre – commenta a Indimedia Carlo Antellini, agronomo che si occupa di formazione agli agricoltori – i fitofarmaci vengono sparsi da marzo a ottobre-novembre, un periodo caldo. Nei dispositivi che devono essere completamente impermeabili diventa impossibile starci dentro. A questo va aggiunto che indossarli rende difficile, se non impossibile, compiere molti movimenti”.
Un momento critico riguarda la pulizia delle tute dai residui dei pesticidi. Il rischio in questa operazione è che il getto d’acqua sparato sulla superficie della tuta possa defluire verso l’interno, insieme alle tracce di sostanze chimiche. Inoltre, tute non perfettamente pulite mantengono tracce di fitofarmaci con cui si può inavvertitamente entrare in contatto al successivo utilizzo.
La stessa composizione dei pesticidi – si legge nell’inchiesta – va tenuta in considerazione. In alcuni casi infatti si tratta di sostanze in grado di passare attraverso il polivinilcloruro (pvc) di cui sono fatti certi grembiuli protettivi.
L’ultimo aspetto richiamato nell’inchiesta fa riferimento a un paper dal titolo “Revisione critica del ruolo dei Dpi nella prevenzione dei rischi legati all’uso di pesticidi”, pubblicato nel 2019. “Alcuni fitofarmaci – scrivono i ricercatori – hanno ricevuto la licenza per la commercializzazione solo perché si dà per certo che l’impiego di dpi limiti considerevolmente l’esposizione. Altrimenti sarebbero vietati”.