Dal prossimo gennaio frumento, orzo, avena e farro entreranno nella Lista Rossa. A partire da quella data per queste specie vegetali non sarà possibile fare ricorso al sistema di autorizzazioni in deroga e quindi impiegare sementi convenzionali anche nell’agricoltura biologica.
Secondo la circolare del Mipaaf dello scorso 23 marzo sulle sementi biologiche e il funzionamento della Banca dati dedicata, entro il 30 giugno 2022 gli operatori biologici dovranno effettuare la manifestazione di interesse per le sementi biologiche tramite il Sistema informativo biologico. Solo in questo caso sarà possibile ottenere la deroga all’utilizzo delle sementi biologiche. Nell’ipotesi in cui un organismo di controllo accerti che l’agricoltore abbia utilizzato sementi convenzionali in assenza della manifestazione di interesse, verrà adottata la “diffida” sulle produzioni in quanto non conformi alla qualificazione biologica dei prodotti.
“Bisogna superare il prima possibile il massiccio e continuo ricorso alle deroghe prima che lo imponga l’Europa”, si legge in una nota di Anabio. “Occorre lavorare già da ora per migliorare e accrescere la disponibilità e la qualità di sementi bio che è l’obiettivo primario del progetto di Anabio anche attraverso lo strumento della Banca dati sementi. D’altra parte, con l’entrata in ‘lista rossa’ di così tante specie si va nella direzione di agevolare l’incontro tra domanda e offerta di sementi bio, cercando di coniugare le esigenze delle ditte sementiere con quelle degli operatori biologici.”
L’utilizzo di sementi biologiche è un aspetto fondamentale prima di tutto per contrastare la perdita di biodiversità. Negli ultimi 100 anni, secondo la Fao, sono scomparse dai campi tre specie coltivate su quattro: un grande patrimonio di biodiversità continua a svanire sotto i nostri occhi. Inoltre, i semi delle piante alimentari provengono per il 60% da sole quattro grandi aziende. Si tratta di semi studiati e selezionati per funzionare al meglio nell’agricoltura intensiva alimentata dalla chimica di sintesi.
Al contrario i semi biologici consentono di ottenere varietà con le caratteristiche ottimali per il modello bio”, spiega Federica Bigongiali, direttrice della Fondazione Seminare il Futuro. “Il biologico per esempio ha bisogno di piante con radici ramificate e profonde, in grado di andare a cercare il nutrimento che non viene fornito in forma immediata dai fertilizzanti chimici di sintesi. Così come abbiamo bisogno di varietà che crescano in altezza, per contrastare lo sviluppo di erbe infestanti, dato che il bio non utilizza diserbanti”.
Proprio in questi giorni è stata presentata la prima varietà di grano duro per il biologico: “Inizio”, nato da una ricerca iniziata nel 2016, con il finanziamento di NaturaSì e della Cooperativa Gino Girolomoni, che ha visto la collaborazione del Crea di Foggia e di Peter Kunz, esperto svizzero di selezioni in biologico.
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