In Europa solo il 29% delle aziende agricole è gestito da donne. Un dato che in Italia arriva al 31,5%: il nostro Paese è al quarto posto in Europa dopo i Paesi Baltici e la Romania. Prima però di Germania, Danimarca, Paesi Bassi dove meno di un’azienda su 10 è gestita da donne.
Quella dell’imprenditoria femminile è una realtà in crescita ma nella quale ci sono ancora molte criticità. Se ne è parlato al convegno “Agricoltura, sostantivo femminile” organizzato dal gruppo Socialists&Democrats del Parlamento europeo che si è tenuto a Terni, e che ha visto la partecipazione dell’europarlamentare Camilla Laureti, assieme (tra gli altri) alla commissaria europea all’Eguaglianza Helena Dalli, all’europarlamentare Paolo De Castro, alla presidente di Slow Food Barbara Nappini, alla segretaria Flai.Cgil nazionale Tina Balì, alla presidente di FederBio Maria Grazia Mammuccini e al vicepresidente della Cia Matteo Bartolini.
“I dati dimostrano che esiste una situazione di svantaggio delle donne in agricoltura, soprattutto in zone rurali remote”, esordisce la commissaria europea all’Eguaglianza Helena Dalli. “Nella Ue solo il 30% della forza lavoro impiegata in agricoltura è costituito da donne. E sono molte meno, rispetto agli uomini, le donne che possiedono un terreno agricolo. Questo probabilmente perché le donne hanno meno accesso al credito rispetto agli uomini. Nell’Unione Europea il divario occupazionale medio tra donne e uomini ammonta a oltre 12 punti percentuali e, cosa ancora più grave, il reddito medio femminile è molto inferiore a quello maschile.”
In Italia, secondo dati recenti pubblicati da Crea, le imprese femminili gestiscono circa il 21% della superficie agricola e il 24% della forza lavoro. In media hanno imprese più piccole; 14 ettari di superficie agricola rispetto ai 18 della media totale, ma decisamente in crescita rispetto al dato del 2016 (11 ettari). La presenza crescente di giovani imprenditrici agricole – il 12% ha meno di 25 anni – evidenzia anche il ruolo che possono svolgere nella riqualificazione in chiave innovativa dell’agricoltura del nostro Paese.
Secondo lo studio “The professional status of rural women in the Eu”, supportato dalla Commissione sull’uguaglianza di genere dell’Europarlamento (FEMM) nel 2019, “si sta verificando un nuovo fenomeno in alcune regioni europee che vede donne ben istruite trasferirsi in campagna per svolgere le loro attività professionali. Hanno maggiore consapevolezza della disuguaglianza di genere, maggiore potere contrattuale. Dunque, ottengono una migliore conciliazione tra lavoro e vita privata. Stanno costruendo nuove società rurali cambiando le norme sociali riguardanti le responsabilità familiari”.
L’Ocse stima che ridurre il gap di genere entro il 2030 potrebbe produrre un aumento del 12% nell’economia globale, e che una buona parte di questo passo in avanti si avrebbe in agricoltura. Infatti, se le donne avessero lo stesso accesso alle risorse produttive degli uomini, potrebbero aumentare i raccolti nelle loro aziende del 20-30% e far crescere di conseguenza la produzione agricola totale.
“Il maggiore coinvolgimento delle donne nelle zone agricole e rurali porterebbe a un miglioramento del loro status sociale e a nuove opportunità di lavoro, in particolare nel campo della gestione sostenibile delle risorse naturali, dell’istruzione, dei servizi di divulgazione, delle alleanze sociali e professionali”, si legge nello studio FEMM. Le donne in agricoltura possono essere un importante motore di cambiamento verso l’ecosostenibilità. Ma per metterle in condizione di spingere verso il cambiamento occorre un’azione politica decisa a livello europeo e nazionale.
“Sono due gli obiettivi che vogliamo raggiungere in questo scorcio di legislatura europea”, spiega Camilla Laureti. “Prima di tutto, un canale privilegiato di accesso al credito per le donne che rilevano e gestiscono un’azienda agricola, particolarmente se si trova in aree interne e se si sceglie la strada dell’agroecologia e del biologico. In secondo luogo, vogliamo lanciare e sostenere strumenti creativi di innovazione tecnologica. Metodi agricoli di punta come il biologico hanno maggior bisogno di tecnologie avanzate: si deve passare da regole uguali per tutti, come quelle che finora hanno spinto verso l’uso eccessivo di prodotti chimici nei campi, a trattamenti che tengano conto delle caratteristiche specifiche dei terreni, delle condizioni meteorologiche e geografiche”.
“Per questo”, continua Laureti, “oltre alle conoscenze tradizionali che sono comunque di estrema importanza, occorrono investimenti decisivi: previsione attraverso processi di intelligenza artificiale, macchinari e trattori che non usano benzina ma biocombustibili, energie rinnovabili di ultima generazione. Ma nessuna piccola azienda delle aree interne italiane ha le risorse per accedere a questi strumenti: per questo ci impegneremo per avviare nuove forme di sharing delle tecnologie e dei macchinari innovativi. Non solo cooperative e consorzi, ma anche vere e proprie ‘comunità dell’innovazione’ che possano condividere le tecnologie necessarie per la sostenibilità economica e ambientale delle aziende agricole”.
“La sostenibilità e il protagonismo femminile si sposano perfettamente in termini strategici”, aggiunge Maria Grazia Mammuccini, presidente di FederBio. “Non è un caso che quello che sta emergendo in alcune organizzazioni di rappresentanza che a vario titolo riguardano cibo e agricoltura è finalmente un protagonismo delle donne. Vale ad esempio per i presidenti di FederBio, Slow Food Italia e Coldiretti Bio. La visione delle donne aiuta a cambiare il paradigma e può essere considerato un valore aggiunto per tutti. Questo perchè le donne hanno dimostrato anche in agricoltura la capacità che hanno, quella di creare elementi innovativi molto forti”