Su Cambia la Terra lo diciamo da molti anni, citando dati ed opinioni scientifiche che dimostrano il ruolo essenziale di una riconversione dell’agricoltura al bio in termini di difesa della stabilità climatica, di protezione dei suoli, di salvaguardia delle falde idriche, di tutela della biodiversità, di risparmio energetico. Ora questo punto di vista – anche grazie al ruolo determinante svolto dall’Unione Europea con le Strategie Farm to Fork, Biodiversità 30 e con il Green Deal – si sta affermando, anche se restano perplessità comunque utili per riportare il dibattito a una dimensione operativa e calibrare meglio gli investimenti pubblici.
La notizia è stata riportata da più parti. Prende le mosse da una ricerca tedesca che calcola i benefici per il clima derivanti dall’agricoltura biologica: circa quattro miliardi di euro di costi ambientali risparmiati in Germania entro il 2030 grazie alla riduzione netta delle emissioni di azoto e gas serra. La ricerca è stata promossa dal ministero dell’Agricoltura tedesco e pubblicata dall’Università tecnica di Monaco e si basa su dati ricavati da 10 anni di analisi su 40 aziende bio e 40 aziende agricole convenzionali.
Il risultato è netto e conferma quanto scritto più volte su questo sito. Coltivare in maniera convenzionale comporta un aumento dei costi ambientali calcolato in 750-800 euro per ettaro in più alti rispetto al biologico. Sono conti ricavati sommando vari fattori.
Cominciamo dall’azoto, un elemento sempre più critico sia dal punto di vista ecosistemico che economico. I campi biologici richiedono 4 o 5 volte meno azoto e il perché è facilmente intuibile: i coltivatori bio impiegano concimi organici come letame e compost, e utilizzano metodi come la rotazione delle colture e il sovescio per migliorare la fertilità del suolo invece di puntare tutto sulla chimica di sintesi.
Sui fertilizzanti dunque i campi biologici vincono a mani basse. E da questo fatto discende una serie di vantaggi: le falde idriche, che in Italia registrano un allarmante inquinamento da nitrati, vengono protette; si risparmia energia (quella, e non è poca, che richiede la produzione di fertilizzanti di sintesi chimica); ogni Paese acquista maggior indipendenza per la sua filiera agricola.
Infine altri due punti di vantaggio. Il primo riguarda il clima. I campi bio sono veri e propri pozzi di carbonio, lo mantengono nel suolo riducendo la quota che sale in atmosfera sotto forma di CO2. Sono alleati preziosi nella battaglia contro la crisi climatica.
Il secondo punto di vantaggio sottolineato dalla ricerca tedesca è la resilienza del bio non solo dal punto di vista ambientale ma anche economico. Sotto i colpi dell’inflazione scatenata dalla guerra in Ucraina i prodotti bio hanno retto molto meglio dei concorrenti convenzionali, anche perché meno dipendenti dalla chimica di sintesi che ha subito un forte aumento dei prezzi. Ad esempio il prezzo del burro nei supermercati tedeschi è aumentato in media del 59% per i prodotti convenzionali tra novembre 2021 e novembre 2022, rispetto al 29% per il burro biologico.
Sembrerebbe che non ci sia gara. Secondo la ricerca però l’agricoltura biologica richiede quasi il doppio di terra per unità di grano rispetto all’agricoltura convenzionale. Ma il dato relativo al grano può essere generalizzato? Ecco cosa scrive una delle massime autorità in materia, il professor Franco Barberi, docente di Agronomia alla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa
La legge sul bio fa bene all’Italia, gli attacchi sono pretestuosi: “I lavori scientifici indicano una riduzione media della produttività del biologico del 15-20% rispetto all’agricoltura intensiva”. E ancora: “Se realizziamo sistemi virtuosi, diversificati, possiamo aumentare sia le rese che i servizi ambientali. In generale, la diversificazione – che è il contrario dell’approccio dell’agricoltura intensiva, caratterizzata da sistemi semplificati e da un elevato uso di input esterni e di prodotti chimici di sintesi – garantisce maggiore fertilità dei suoli e maggiore presenza di impollinatori, da cui dipende la produzione del 35% delle colture al mondo”.
È dunque immaginabile che, attraverso una migliore organizzazione del ciclo produttivo agricolo, un affinamento della ricerca sulle pratiche bio e una revisione degli stili di vita nella direzione indicata dall’Organizzazione mondiale di sanità (ad esempio consumando meno carne) si possa sfamare – meglio di quello che avviene oggi – la popolazione globale aumentando in modo netto la produzione bio.