Sono quasi 20 milioni le tonnellate di emissioni di CO2eq prodotte dagli allevamenti di bestiame ogni anno, pari alla metà del totale prodotto dall’agricoltura italiana. Ma, a differenza di altri settori economici, in agricoltura la maggioranza delle emissioni non è legata all’uso di combustibili fossili: si tratta di emissioni di metano. L’agricoltura è infatti il primo responsabile in Italia per la produzione di questo potente gas serra che rispetto alla CO2 resta meno tempo in atmosfera ma ha un potenziale di riscaldamento superiore.
La maggioranza delle emissioni degli allevamenti – circa 13,5 milioni di tonnellate di CO2eq – è originata dalla digestione enterica degli animali. Poi ci sono 6,2 milioni di tonnellate di CO2eq derivanti dalle loro deiezioni. Ma gli allevamenti non sono tutti uguali: le differenti specie di animali allevati hanno un diverso carico di emissioni.
I principali emettitori sono i bovini: il loro allevamento produce quasi l’80% delle emissioni. Nel 2022 ogni mucca ha prodotto oltre 135 kg di metano. Molto di più di un cavallo (18 kg), di una pecora (7,5 kg), di un maiale (1,5 kg).
Per ridurre le emissioni del settore agricolo occorre dunque una revisione del modello alimentare: occorre contenere il consumo di carne e di derivati del latte. Inoltre andrebbero consumate le tipologie di carni che hanno impronte carboniche più basse di altre, commentano da Italy for Climate, iniziativa della Fondazione per lo sviluppo sostenibile.
Se l’agricoltura rispetto al 1990 ha tagliato le proprie emissioni del 13%, nel corso di circa un trentennio le emissioni associate a una singola mucca da latte sono aumentate di più del 20% (mentre il latte prodotto da un singolo capo è più che raddoppiato).
“La preponderanza di questo tipo di emissioni e alcune caratteristiche legate al modello produttivo – aggiungono da Italy for Climate – rendono la decarbonizzazione di questo settore particolarmente complessa. Il fatto che si tratti soprattutto di emissioni non energetiche vuol dire che bisogna intervenire in modo particolarmente radicale e innovativo sui processi produttivi, e non basta semplicemente ridurre il consumo di combustibili fossili, come è il caso dei trasporti o degli edifici. Inoltre, abbiamo a che fare con emissioni generate in modo molto capillare e distribuito nel territorio (immaginate centinaia di migliaia di allevamenti e campi coltivati in giro per l’Italia), per cui bisogna lavorare su soluzioni che possano essere replicate efficacemente su vasta scala da un numero elevatissimo di allevatori e coltivatori.”