Alla Festa del Bio di Roma, il talk “La cura del suolo cura anche la siccità”. Al centro le soluzioni che già esistono in agricoltura per mitigare le conseguenze dei fenomeni meteorologici estremi.
L’alluvione che ha colpito soprattutto l’Emilia Romagna ha messo in ginocchio buona parte dell’agricoltura di quei territori. Ma ancor prima, sono stati i lunghi mesi senza piogge a mettere a dura prova i terreni agricoli. Si è passati da una persistente condizione di “siccità severa” del Po al rischio di gravi esondazioni in Piemonte, con un aumento del livello del fiume di oltre un metro e mezzo in 24 ore.
Troppa acqua in poco tempo da una parte, siccità dall’altra. Conseguenze meteorologiche opposte ma che secondo gli esperti hanno un comune denominatore: il cambiamento climatico. Due anni di siccità estrema in Pianura Padana hanno reso i campi poco permeabili, non in grado di assorbire le fitte precipitazioni degli ultimi giorni. Inoltre, a determinare una minore capacità di assorbimento da parte dei suoli, è la bassa fertilità naturale dei terreni: secondo le stime, la Pianura Padana ha percentuali di sostanza organica nel suolo attorno all’1%, un livello che la mette a rischio desertificazione.
Negli ultimi 30 anni, secondo i dati dell’Ispra, la disponibilità idrica nel nostro Paese è diminuita del 20%. Una riduzione dovuta non solo alla minore frequenza delle precipitazioni, ma anche all’incremento dell’evaporazione. Un calo che determina conseguenze prima di tutto per il settore agricolo che si trova a dover gestire la produzione con una programmazione diversa dei raccolti, come ad esempio succede per il riso.
Ecco perché non si può parlare di siccità e di acqua senza parlare di suolo, tema al centro del talk “La cura del suolo cura anche la siccità”, che si è tenuto durante la Festa del Bio di Roma, sabato 27 maggio. Organizzato da Cambia La Terra, il progetto di FederBio con Legambiente, Lipu, Medici per l’Ambiente, Slow Food e WWF con l’obiettivo di promuovere l’importanza della salute del suolo, l’evento ha messo in evidenza i diversi benefici di un terreno bio e la sua maggiore capacità di reazione ai fenomeni atmosferici avversi.
“Sono state settimane difficili per tutti. Abbiamo vissuto momenti di grande apprensione nel vedere le campagne di agricoltori e allevatori come noi completamente inondate e che in poche ore hanno perso il frutto di anni di lavoro. E, in un momento storico in cui gli effetti del cambiamento climatico sono evidenti e spesso tangibili con danni devastanti come in questo caso, è arrivato il tempo di utilizzare tutti i mezzi a disposizione per affrontare subito tali emergenze che ormai non sono più un fatto straordinario ma purtroppo sono diventate la normalità”, ha detto Maria Grazia Mammuccini, Presidente di FederBio, che ha aggiunto: “L’agricoltura biologica può dare un contributo fondamentale. I terreni coltivati con metodo bio presentano, oltre alla capacità di assorbire carbonio e contrastare il cambiamento climatico, un’ottima capacità di assorbire e trattenere l’acqua. Questa maggiore capacità è dovuta a una più ampia presenza di materiale organico nel suolo che lo rende più sano e ricco di nutrienti. Serve un approccio agroecologico che investe sull’agrobiodiversità per individuare colture e varietà adatte ai diversi territori per ridurre così il consumo di acqua e che punti sulla gestione e sulla cura costante del territorio dal punto di vista idrogeologico. Ma il punto centrale è affrontare il tema della fertilità dei suoli, della capacità naturale dei terreni di assorbire l’acqua e di contrastare il cambiamento climatico oltre che a pensare a un sistema alimentare più sano, con un minor consumo di carne”.
Infatti, più della metà della risorsa idrica va all’agricoltura e di questa una buona parte (oltre un terzo) viene impiegata per far crescere piante destinate all’alimentazione animale. Occorre ridurre queste cifre – sottolinea il mondo del biologico – rivedendo il sistema degli allevamenti intensivi, in cui sostanza organica vegetale e deiezioni animali rappresentano un inquinamento pericoloso invece che un’occasione per aumentare la fertilità dei suoli, e privilegiando le aziende multifunzionali. E occorre ridurre drasticamente il consumo di suolo e la cementificazione, aumentando le superfici naturali, anche nei campi coltivati. Sistemi grazie ai quali il biologico sta già sperimentando una maggiore resilienza al cambiamento climatico. La presenza di materia organica, che nei campi bio va dal 2 al 3%, e una struttura del suolo più porosa aiuta infatti a mitigare gli effetti delle condizioni meteorologiche estreme, come siccità o piogge intense. Inoltre, un suolo sano è in grado di rilasciare gradualmente l’acqua alle piante, garantendo una migliore disponibilità idrica nel corso del tempo. Ma c’è anche la necessità di adattamento alle nuove temperature: l’agricoltura biologica, che da sempre promuove la diversificazione delle colture, può aiutare ad adeguare le produzioni in base alle variazioni climatiche dei territori.
Durante l’evento, sono inoltre intervenuti Giuseppe Corti, Direttore Agricolture e Ambiente del CREA e Presidente SISS (Società Italiana della Scienza del Suolo); Anna Luise, ISPRA – Struttura missione per la definizione delle tematiche globali nell’ambito dell’Agenda 2030; Caterina Batello, AIDA, Associazione Italiana di Agroecologia – Agroecology Europe; Franco Ferroni, Coalizione #CambiamoAgricoltura; Federica Ferrario, Responsabile Agricoltura di Greenpeace Italia; Margherita Caggiano, Re Soil Foundation.