È partito il primo webinair “Normativa, standard e autoproduzione per i mezzi tecnici per l’agricoltura biologico”, organizzato da FederBio per i propri soci produttori con l’obiettivo di evidenziare metodi e innovazioni utili all’agricoltura biologica. La referente scientifica di questo primo incontro è stata Alessandra Trinchera, da 25 anni ricercatrice presso il Crea Agricoltura Ambiente di Roma dove studia i mezzi tecnici, in particolare quelli utilizzati in agricoltura biologica come compost, sementi, concime organico ed estratti vegetali prodotti da scarti vegetali o da allevamento.
Cosa si intende per autoproduzione di mezzi tecnici?
“L’autoproduzione di mezzi tecnici è un processo basato sui principi dell’economia circolare”, risponde Alessandra Trinchera. “Si tratta di un circolo virtuoso che reintegra nella catena produttiva tutto ciò che è rifiuto o scarto, perché utile e prezioso per produrre i mezzi tecnici, cioè gli strumenti necessari a sostenere il ciclo dell’agricoltura biologica, come ad esempio il fertilizzante. Il mezzo tecnico così prodotto viene definito biobased, ovvero derivante da scarti verdi, come piante o scarti forestali, o da scarti da allevamento che hanno caratteristiche nutritive diverse. Sono quindi disponibili diversi tipi di mezzi tecnici, a seconda degli scarti utilizzati, ognuno con qualità organolettiche e nutritive eterogenee, da utilizzare sia per la fertilità del suolo che per la difesa del raccolto”.
Quali sono i principali vantaggi dell’autoproduzione?
“Innanzitutto un rifiuto diventa una risorsa, recuperando anche gli elementi nutritivi. Ciò rappresenta un guadagno dal punto di vista economico, perché si evitano i costi di smaltimento e si recuperano materie necessarie per la fertilizzazione e la difesa. L’autoproduzione ha anche un vantaggio ambientale, in quanto si recuperano nutrienti che rientrano nel sistema agricolo, arricchendo la fertilità dei suoli e riducendo l’impatto negativo del rifiuto”.
Qual è la dimensione ideale di un’azienda per applicare un processo di circolarità?
“La dimensione ideale è il piccolo, ma non troppo. È fondamentale l’elemento della complementarità. Se un’azienda si occupa di produzioni frutticole, ad esempio, avrà degli scarti come il legname derivante dalla potatura, un materiale definito lignocellulosico. Per compostare, l’azienda avrà però bisogno di disporre anche di materiale contenente una grande quantità di azoto, che spesso viene fornito dal letame animale. L’ideale quindi è abbinare le due funzioni o avere un’azienda limitrofa che alleva bestiame. La diversificazione all’interno dell’azienda o la collaborazione tra le aziende vicine sono le condizioni ideali per avviare una filiera corta”.
La strategia europea Farm to Fork e il quadro normativo attuale stanno incentivando questo processo?
“Le ultime comunicazioni della Commissione sono a favore del recupero di materiali di scarto per poter produrre i fertilizzanti, un modo anche per superare le problematiche attuali del rincaro dei costi mezzi tecnici di origine chimica. Ma, dal punto di vista del nuovo regolamento europeo, sui fertilizzanti non ci sono indicazioni che favoriscano l’autoproduzione. Nell’attuale normativa non è ammessa l’utilizzo di mezzi tecnici autoprodotti dall’azienda, tutto deve passera per le aziende produttrici. È invece necessario un quadro normativo ad hoc per una pratica che già esiste”.
Come si può incentivare questo tipo di agricoltura?
“Questo processo dovrebbe essere coadiuvato da un sostegno economico, che potrebbe andare dall’eliminazione dell’Iva al sostengo a modelli virtuosi che in alcuni Paesi del nord sono già operativi, ad esempio considerare gli agricoltori che recuperano scarti vegetali e organici come operatori ecologici, riconoscendo il loro ruolo anche economicamente. Il loro lavoro infatti abbatterebbero anche costi di trasporto per approvvigionamento di fertilizzanti e smaltimento di materiale da scarto. Non è però semplice, le aziende produttrici dei mezzi tecnici non hanno nessun interesse a far passare questo tipo di processo”.