Secondo uno studio pubblicato sul Nature Portfolio Journal, nelle zone interne dell’Australia, altamente colpite dalla siccità e dal caldo estremo provocati dalla crisi climatica, il terreno diventerà uno dei principali fattori di emissione di anidride carbonica del Paese. E andrà dunque a influire in maniera consistente sul bilancio delle emissioni e sulle politiche ecologiche del Paese.
Lo studio, modellato sullo scenario di riduzione delle emissioni globali “a-metà-strada” che prevede un riscaldamento globale di 2,7 gradi per la fine del nostro secolo, ha stimato che le emissioni medie annuali del suolo australiano in larga parte desertico, nei prossimi 80 anni, cresceranno da circa 30 fino a 100 milioni di tonnellate di C02 e non riusciranno più a essere compensate dalle aree verdi.
Sulla base delle attuali pratiche di gestione del territorio in Australia, il rapporto prevede che le aree agricole accumuleranno, e quindi sequestreranno, fino a 0,19 tonnellate di CO2 per ettaro ogni anno tra il 2020 e il 2045. Ma entro il 2070-2100 questi guadagni rallenterebbero in modo significativo a causa dell’aumento delle temperature medie. Infatti nelle aree interne dell’Australia -note come rangelands – l’impatto del cambiamento climatico su un territorio già prevalentemente desertico e quindi fragile comporterà enormi perdite di carbonio dal suolo per via dell’impoverimento biologico.
Raphael Viscarra Rossel, autore principale del rapporto, ricorda che per l’Australia questa previsione avrebbe un impatto devastante sul processo che il Paese ha intrapreso per arrivare alla neutralità climatica. Gli attuali obiettivi sono la riduzione delle emissioni di gas serra del 43% entro il 2030 e le zero emissioni nette entro il 2050. Ma le politiche attuali non tengono conto dei dati delle emissioni del suolo che, come rivela il rapporto, nel periodo 2020-2045 sarebbero equivalenti al 14% delle emissioni totali del Paese nel 2022, o all’82% delle emissioni agricole.
Il sequestro del carbonio del suolo non era stato identificato, finora, dalle politiche ecologiche australiane poiché il suolo a livello globale è attualmente uno dei fattori che contribuiscono al sequestro del carbonio dall’atmosfera, assieme alle foreste e agli oceani. Le scorte di carbonio nel suolo sono influenzate da fattori ambientali, come le precipitazioni e il caldo, ma anche da pratiche di gestione del territorio. L’aumento delle specie viventi presenti nel suolo, e quindi della biodiversità, contribuisce a sottrarre carbonio all’atmosfera.
Secondo la FAO, ad oggi il suolo ha già rilasciato 78 miliardi di tonnellate di carbonio nell’atmosfera ma il processo viene compensato dalle aree verdi. L’organizzazione sottolinea che, se non si cambiano le pratiche agricole ad alto impatto ambientale, è probabile che si arrivi a un’emissione netta globale di carbonio da parte del suolo. D’altro canto la FAO afferma anche che una gestione sostenibile del suolo potrebbe bilanciare un terzo delle emissioni agricole mondiali grazie al potenziale sequestro di 2,05 miliardi di tonnellate di C02.
Ma in che cosa consiste una gestione sostenibile del suolo? Un importante studio della FAO che sostiene che il primo passo sia quello di tenere in considerazione le specificità e le differenze dei terreni. A questo proposito è stato creato il GSOCseq: una mappa interattiva che serve a descrivere le caratteristiche specifiche dei diversi territori. Il secondo passo, una volta studiato il terreno, sono pratiche agricole sostenibili che tengano conto del benessere del suolo, e quindi della biodiversità che contiene, necessarie per contrastare l’impoverimento organico e gli effetti della crisi climatica sul territorio.
Uno dei pilastri dell’agricoltura biologica è infatti la salvaguardia della fertilità del terreno e della biodiversità. L’agricoltura biologica si sviluppa a partire dalle condizioni naturali dell’ecosistema in cui opera e quindi tiene conto delle differenze dei terreni e delle necessità dell’ambiente naturale. In questo modo contribuisce all’aumento del benessere del terreno e alla sua capacità di assorbire CO2.