Nella Giornata internazionale dedicata a questi impollinatori, il caso del Veneto
Il 20 maggio è la Giornata internazionale delle api. L’Associazione Regionale Apicoltori del Veneto lancia un allarme: sono pochi gli apicoltori e le api rimasti in due zone della regione, la Valpolicella, cioè la zona collinare che precede l’inizio delle Prealpi Veronesi, e il Montello, nel Trevigiano. Secondo l’associazione, “oltre ai parassiti e ai cambiamenti climatici che stanno colpendo tutta Italia e che stanno mettendo in ginocchio i professionisti e tutta l’apicoltura, in Valpolicella e nel Montello c’è altro che fa soffrire le api. Nei bellissimi paesaggi veronese e trevigiano le api muoiono di fame a causa delle monocolture e per l’uso sempre maggiore di fitofarmaci in agricoltura e viticoltura”.
Dunque, l’agricoltura intensiva, con i suoi annessi e connessi, è una delle minacce per le api. In particolare, l’effetto dei pesticidi si ripercuoterebbe sui boschi di acacia circostanti, causando la morte di miliardi di api. Questo fenomeno, a cui si aggiungono gli effetti del cambiamento climatico, provocherebbe il decremento produttivo del miele: “In circa quindici anni si è passati da medie produttive di 35-40 kg di miele per alveare a una risicata quantità̀ di 5- 10 kg”, stima l’associazione veneta. La risposta, per gli addetti ai lavori, è studiare soluzioni “dal basso”, insieme a tutti gli attori interessati da questo problema.
“È urgente coinvolgere Comuni e associazioni di categoria – dichiara il presidente dell’Associazione Regionale Apicoltori del Veneto, Gerardo Meridio – in un dialogo costruttivo con gli apicoltori per analizzare e risolvere il problema. Sono necessarie misure efficaci che salvino le api e la biodiversità̀ di tutti i territori della Valpolicella e del Montello”. In questo territorio la situazione è particolarmente grave. Lo racconta l’apicoltore professionista Francesco Bortot, facendo riferimento alla zona del Montello: “Da quando iniziano i trattamenti, ovvero circa alla fine della fioritura del ciliegio selvatico a metà aprile, gli alveari non crescono più̀ e stentatamente vanno a melario. Le derive durante l’esecuzione dei trattamenti sono micidiali e arrivano da ogni parte, investendo i boschi fioriti di una nube tossica letale per le api tanto che spopolamenti del 25-30% della popolazione di api si compiono anche in poche ore”.
Bortot prosegue evidenziando il decremento della potenzialità̀ nettarifera: “La situazione del Montello, ma anche di tutte le zone a copertura mista, bosco naturale e vigneto, è devastante: negli anni ‘90 e fino ai primi del 2000 arrivavano sul Montello circa 20.000 alveari, che con una produzione media di 25-30 kg di miele di acacia ci hanno portato a stimare la potenzialità̀ produttiva del Montello a circa 500.000-600.000 kg di miele. Ora non più̀, ci stiamo abituando a un’apicoltura a ribasso: stiamo perdendo la percezione di come devono crescere e produrre gli alveari”.
Non solo in Veneto ma in tutta Italia gli apicoltori hanno da tempo lanciato l’allarme per la riduzione del numero e della produttività degli alveari. Nel corso degli ultimi anni nel Belpaese, secondo i dati pubblicati oggi dal Wwf, “l’Efsa ha registrato perdite di api tra cento e mille volte maggiori di quanto normalmente osservato. Mentre dalla ricerca sulla perdita della biodiversità di impollinatori, condotta dall’Ipbes già nel 2016, risulta che il 40% delle specie di api selvatiche e farfalle è a rischio”.
Un rischio che ha ripercussioni anche economiche notevoli: dalle api dipende infatti il 35% della produzione agricola mondiale, con un valore economico stimato ogni anno di oltre 153 miliardi di euro a livello globale e 22 miliardi di euro per la sola Europa. Questo perché ben l’84% delle principali colture per il consumo umano in Europa, tra cui molti tipi di frutta e verdura, richiede l’impollinazione degli insetti per migliorarne la qualità e il rendimento. Per questi motivi, tornando allo specifico caso italiano, il Wwf sollecita “l’urgenza dell’adozione e attuazione da parte del nostro governo di un Piano Nazionale per la conservazione degli impollinatori, previsto dalla Strategia Nazionale Biodiversità 2030″.