Fumata nera dal Parlamento europeo per la revisione della direttiva 2010/75 sulle emissioni industriali (Ied), lo strumento che regolamenta l’inquinamento causato dai grandi impianti industriali compresi quelli zootecnici. Per quanto riguarda gli allevamenti, gli europarlamentari riuniti in seduta plenaria hanno votato per non cambiare nulla e mantenere le norme in vigore. In pratica il Parlamento ha bocciato il punto chiave della revisione riguardante l’inclusione degli allevamenti intensivi dei bovini e ha lasciato inalterate le soglie di applicazione per suini e ovicoli.
Il voto di oggi chiude un iter complesso e altalenante partito nell’aprile 2022 con la proposta iniziale della Commissione Ue di estendere il campo di applicazione della direttiva emissioni a tutti gli allevamenti intensivi (non solo suini e pollame ma anche bovini) con più di 150 UBA (Unità bestiame adulto). La soglia di 150 UBA corrisponde a 207 bovini, 500 suini, 7.000 avicoli.
A distanza di un anno, lo scorso aprile la commissione Agricoltura ha votato invece per tenere fuori i bovini e mantenere lo status quo per il settore dei suini e del pollame conservando le attuali soglie (6 volte più di quanto proposto inizialmente dalla Commissione). La commissione Agricoltura ha proposto anche una registrazione semplificata per l’avvio di nuove attività. Una posizione non condivisa dalla commissione Ambiente che il 24 maggio 2023 ha votato per includere gli allevamenti intensivi di bovini con oltre 300 UBA e ampliare l’applicazione agli allevamenti di suini e avicoli con più di 200 UBA.
L’inserimento degli allevamenti intensivi nella direttiva è una questione che va ben oltre il settore agricolo ma è cruciale per la salute delle persone e per la tutela ambientale. “L’agricoltura in Europa è responsabile del 94% delle emissioni di ammoniaca, La maggior parte di queste emissioni (81-87%) proviene dal settore zootecnico”, scrive Greenpeace in un documento. “In Italia gli allevamenti intensivi sono la seconda causa di formazione di polveri sottili, le Pm 2,5, che ogni anno provocano circa 50.000 morti premature nel nostro Paese. Inoltre secondo dati dell’Agenzia europea per l’ambiente (Aea), l’agricoltura europea è responsabile del 54% delle emissioni di metano in gran parte imputabili agli allevamenti bovini, proprio quelli esclusi dalla direttiva”.
Con questi numeri per ridurre le emissioni è indispensabile tener conto del settore agricolo. Le soglie confermate dal voto di oggi fanno entrare nel campo di applicazione della direttiva solo gli allevamenti industriali più grandi, che rappresentano appena il 18% delle emissioni di ammoniaca e il 3% delle emissioni di metano nell’Unione Europea.
La proposta della Commissione, pur volendo ampliare il campo di applicazione della direttiva, avrebbe comunque tenuto fuori il 93% dei piccoli e medi allevamenti, smentendo i timori di effetti negativi sull’occupazione e la tenuta del tessuto imprenditoriale. Al contrario la difesa dello status quo espressa nel voto dell’11 luglio non solo fa perdere un’occasione importante di incidere in modo efficace sulla riduzione delle emissioni, ma mette in posizione di svantaggio proprio piccoli e medi allevatori che si trovano a giocare con le stesse regole di quelli molto più grandi e intensivi.
Eppure l’applicazione della direttiva ai bovini e a un maggior numero di suini e pollame avrebbe generato benefici economici 11 volte superiori ai costi. I vantaggi per la salute e l’ambiente derivanti dalla riduzione delle emissioni di metano e ammoniaca sono stati stimati dalla Commissione Ue pari a oltre 5,5 miliardi di euro all’anno, mentre i costi di conformità sono pari a 265 milioni di euro e i costi amministrativi (amministrazioni e gestori) sono pari a 223 milioni di euro.