Diecimila agricoltori al Brennero: più trasparenza e regole ferree per i cibi importati

Foto di Iwona Castiello d'Antonio, Unsplash

FederBio, Legambiente e Slow Food insieme per standard di qualità, contrasto ai pesticidi vietati in Ue, giusto prezzo e lotta alle agromafie

FederBio, Legambiente e Slow Food Italia insieme “per sensibilizzare le istituzioni sul tema dell’obbligo dell’origine in etichetta per le produzioni agroalimentari e per contrastare l’importazione di prodotti venduti come italiani senza però rispettare regole e standard richiesti per i prodotti nazionali, generando così condizioni di concorrenza sleale per i produttori italiani.
Le tre associazioni hanno partecipato alla manifestazione di ieri al Brennero, dove migliaia di agricoltori si sono ritrovati per protestare contro l’invasione di cibo importato da Paesi che non rispettano le procedure di qualità obbligatorie nelle filiere italiane. Una protesta che ha rimesso al centro l’agricoltura di qualità che, come ricordano le associazioni, “si basa sulla transizione agroecologica, vera risposta alla crisi dei sistemi alimentari. Il metodo biologico propone un modo di produrre nel rispetto della fertilità del suolo, della salute dei cittadini e degli ecosistemi ambientali che può diventare un punto di riferimento per l’intero comparto agricolo”.

“Il Regolamento europeo sul bio prevede, per le importazioni dei prodotti biologici, il passaggio dal
principio di equivalenza a quello di conformità a partire dal 2025. Questo significa che gli alimenti
bio importati dovranno rispettare le medesime regole cui sono sottoposti gli agricoltori bio europei”, spiega Maria Grazia Mammuccini, presidente di FederBio, che aggiunge: “Riteniamo che lo stesso principio debba essere applicato all’agricoltura convenzionale. Si tratta di una differenza sostanziale perché impone a chi esporta in Europa di seguire le medesime regole e standard imposti agli agricoltori Ue anche per quanto riguarda l’uso dei fitofarmaci. L’introduzione del principio di conformità a tutta l’agricoltura eviterebbe che ingenti quantitativi di principi attivi vietati in Ue siano scaricati dalle multinazionali nei Paesi in via di sviluppo, rientrando poi in Italia e in Europa sotto forma di frutta e altri alimenti”. Per evitare la concorrenza sleale, “il giusto prezzo è l’elemento chiave per difendere il reddito degli agricoltori e garantire la trasparenza di tutta la filiera nei confronti dei cittadini”.

Sulla stessa linea anche Barbara Nappini, presidente di Slow Food Italia, che denuncia: “I prezzi
pagati ai produttori sono sempre più bassi e le aziende non coprono i costi. Da decenni ormai le politiche agricole nazionali e internazionali sono miopi e confinano la produzione alimentare a un insalubre assistenzialismo. A ciò si è aggiunta la concorrenza – sleale di fatto, legale nella forma – da parte di Paesi che non sono tenuti a rispettare le regole valide in Italia, in termini ambientali per l’uso di fitofarmaci, e in termini etici per i diritti di lavoratori e consumatori”.

Anche il tema dell’agromafia è stato uno dei pilastri della protesta di ieri dal Brennero. Stefano Ciafani, presidente di Legambiente, ha infatti lanciato un messaggio forte e chiaro al governo e a tutte le forze politiche: “Si recuperi e approvi in tempi rapidi il ddl contro le agromafie e l’agropirateria che ad oggi è inspiegabilmente in stallo alla Camera dei deputati. A Governo e Parlamento chiediamo un atto di responsabilità affinché si sblocchi questa situazione”.

Assieme a Coldiretti, le tre associazioni hanno voluto far sentire la propria voce su temi cruciali per affrontare le forti scosse che stanno scuotendo l’intero settore, tra effetti dei cambiamenti climatici e concorrenza sleale di Paesi terzi.

Al centro della protesta, la revisione del criterio dell’ultima trasformazione del Codice doganale dell’Unione europea e del luogo di provenienza: “Fondamentale superare le attuali regole sul codice doganale – spiega Ettore Prandini, presidente di Coldiretti – per contrastare in maniera decisa le frodi al nostro agroalimentare. Dobbiamo evitare che i consumatori siano ingannati e bloccare tutto quello che permette di vendere come italiano, magari anche camuffandone il nome, come un prosciutto fatto con cosce di maiale provenienti dall’estero. Serve poi insistere sul principio di reciprocità – aggiunge Prandini – in una situazione che vede l’ingresso dalle frontiere di prodotti trattati con sostanze e metodi vietati in Europa che non rispettano le stesse normative comunitarie in fatto di sicurezza alimentare, tutela dell’ambiente e del lavoro. Una concorrenza sleale che danneggia gli agricoltori europei peraltro sottoposti a regolamenti e vincoli spesso fuori dalla realtà. Per questo – conclude Prandini – abbiamo lanciato anche una raccolta firme con la proposta di iniziativa popolare per mettere in trasparenza la filiera agroalimentare”.

Secondo Coldiretti, negli ultimi dieci anni le importazioni di cibo straniero sono aumentate del 60% raggiungendo il valore record di 65 miliardi di euro. La denuncia si basa su dati Istati che, nel 2023, rilevano un quadro piuttosto critico per il deficit alimentare dell’Italia: oltre 5 miliardi di chili di prodotti ortofrutticoli, con un aumento del 14% rispetto all’anno precedente. L’importazione di patate è aumentata, in un anno, del 39%, arrivando a quasi 800 milioni di chili. Anche per quanto riguarda la produzione di cereali le percentuali parlano chiaro: l’Italia produce solo il 36% del grano tenero che le serve, il 53% del mais, il 51% della carne bovina, il 56% del grano duro per la pasta, il 73% dell’orzo.

 

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