È successo in Danimarca. La decisione è stata presa dal governo con tre obiettivi: raggiungere il taglio del 70% di gas serra entro il 2030, proteggere la natura, ripristinare la biodiversità. È stato calcolato che, senza questa tassa, il settore agricolo nel 2030 arriverebbe a produrre circa il 40% delle emissioni nazionali.
La misura gode di un largo consenso. È sostenuta infatti dalle organizzazioni del settore agricolo, dalle ONG per la tutela della natura e dai sindacati, che hanno negoziato per mesi per raggiungere un accordo a tre con il governo. Sulla base di queste raccomandazioni, una maggioranza schiacciante di sette partiti della politica danese, dai Verdi ai Conservatori, ha dato il proprio sostegno in parlamento.
Nel complesso, il modello prevede un’imposta effettiva di 120 corone (16 euro) per tonnellata di CO2e (equivalente) al 2030 e di 300 corone (40 euro) per tonnellata di CO2e al 2035, un valore simile a quello applicato sulle emissioni di altri settori industriali al di fuori del sistema di scambio di quote di emissione dell’UE. C’è la possibilità di un aumento dopo il 2035. Il gettito sarà in parte destinato a un fondo per sostenere l’innovazione, le nuove tecnologie e la pirolisi in agricoltura.
I punti principali previsti dall’accordo sono:
“L’agricoltura è la principale fonte di emissioni di CO2 in Danimarca, non si può continuare così”, ha dichiarato Lars Aagaard, ministro del Clima, dell’Energia e dei Servizi pubblici. “Per questo motivo, siamo il primo Paese al mondo a concordare una tassa sul clima e ad accelerare le iniziative verdi, in modo da essere più sicuri di raggiungere l’obiettivo del 2030. Ora ci attende un compito importante per la realizzazione dell’accordo. Il settore agricolo deve contribuire ed essere parte del futuro verde”.