di Simonetta Lombardo
“In un’ottica di sviluppo sostenibile, l’agricoltura biologica rappresenta sempre più un sistema di valori che coniuga l’azione economica e produttiva con il rispetto dei vincoli ambientali, che si articola in quattro dimensioni: capacità di mantenere nel tempo qualità e riproducibilità delle risorse naturali, di preservare la diversità biologica e di garantire l’integrità degli ecosistemi”. E’ la voce ufficiale dell’Ispra, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, a certificare il peso del biologico nella salvaguardia degli ecosistemi italiani, un obiettivo che non rappresenta solo un alto valore etico, ma costituisce la premessa indispensabile al mantenimento del nostro livello di benessere.
Nell’Annuario dei dati ambientali 2017 l’Ispra ricorda la forte crescita del settore: “Nel 2016, la superficie coltivata secondo il metodo biologico in Italia è pari a circa 1,8 milioni di ettari con un incremento del 20,4%, rispetto al 2015 che, in termini assoluti, corrisponde a oltre 300 mila ettari convertiti al biologico. Gli operatori del settore sono oltre 72.000 con un aumento del 20,3% rispetto al 2015. L’incidenza percentuale del biologico rispetto ai dati nazionali indica che, in percentuale sul totale della superficie coltivata, il biologico arriva ad interessare il 14,5% della SAU nazionale, dato che cresce, rispetto al 2015, di oltre due punti percentuali”.
L’aumento della quota del biologico nel complesso dell’agricoltura italiana viene spesso sottolineato per gli aspetti direttamente economici che il trend comporta. E cioè per il rafforzamento dell’export nazionale in un settore chiave del made in Italy. Un rafforzamento che, per restare all’interno dei parametri dell’economia classica, trascina anche una ricaduta positiva in termini occupazionali perché il segmento bio è labour intensive.
Ma in un’ottica di economia allargata – cioè di un’economia che non guarda solo ai dati monetari puri, ma valuta anche il rafforzamento o l’indebolimento delle basi naturali su cui si basa la produzione – il dato sulla crescita dell’agricoltura biologica assume un significato più ampio.
E’ lo stesso rapporto ad offrire una chiave di lettura in questo senso quando sottolinea il peso dell’erosione idrica. Mentre alcuni quotidiani, nel dar conto del rapporto Ispra, hanno posto l’accento sul consumo di suolo in senso classico, cioè sul terreno cementificato, la vera novità che emerge dall’analisi dell’Ispra è un’altra. La quantità di suolo impermeabilizzato resta alta (3 metri quadrati al secondo), ma è comunque ben inferiore al picco raggiunto prima della crisi economica (8 metri quadrati al secondo). Ma mentre questo fattore di rischio viene ridimensionato, ne emerge un altro legato a un cattivo uso del suolo agricolo: l’erosione idrica, il terreno impoverito strappato via dall’acqua.
L’Italia perde mediamente 8,77 tonnellate per ettaro l’anno, un dato ben superiore alla media europea. Calcolando che in questo modo viene consumata la parte più pregiata del suolo, l’humus che si riesce a ricostituire solo con processi lentissimi, si ha la misura di un danno grave. Cosa lo produce? Da una parte il cambiamento climatico che sta trasformando il ciclo idrico rendendo le piogge molto più concentrate e intense. Ma dall’altra le tecniche agricole intensive ad alto uso di chimica di sintesi.
“Nelle aree agricole dove non sono applicate specifiche azioni agroambientali di controllo e mitigazione, l’erosione, soprattutto nelle sue forme più intense, rappresenta una delle principali minacce per la corretta funzionalità del suolo”, conferma l’Ispra. “La rimozione della parte superficiale del suolo ricca di sostanza organica ne riduce, anche in modo rilevante, la produttività e può portare, nel caso di suoli poco profondi, a una perdita irreversibile di terreni coltivabili”.
Se a questi elementi aggiungiamo i problemi creati dai pesticidi, abbiamo il quadro completo dei rischi prodotti dall’agricoltura convenzionale. “In Italia, nel 2014”, si legge ancora nel rapporto Ispra, “si sono verificati 614 casi di avvelenamento acuto legati ai prodotti fitosanitari. Il monitoraggio condotto dall’ISS afferma che il sistema individua ogni anno circa 900 casi legati all’esposizione ai prodotti fitosanitari, che rappresentano circa il 2% di tutti i casi di esposizione a sostanze pericolose”.