La forza della chimica. L’industria dei pesticidi ha sempre avuto una notevole influenza sul governo degli Stati Uniti, indipendentemente dall’amministrazione in carica. La denuncia arriva da un articolo del Washingron Post a firma di Elena Conis che ricostruisce storicamente l’azione delle multinazionali dell’agrochimica nell’imporre un modello di agricoltura funzionale solamente ai propri interessi.
Le aziende chimiche non solamente svolgono una pressante attività di lobbying, ma hanno anche un ruolo nella stesura delle leggi che dovrebbero regolare le loro azioni e proteggere i consumatori. Controllati controllori. Per il quotidiano della capitale Usa si tratta di un pericoloso conflitto di interessi. Ne è un esempio il caso del glifosato, uno dei pesticidi più utilizzati, ritenuto sicuro dalle agenzie di regolamentazione, ma collegato ai tumori in molte cause in corso contro il suo produttore, la Monsanto (oggi acquisita dalla Bayer).
Spesso i produttori di sostanze chimiche producono dati e studi sulla sicurezza che vengono poi fatti propri dalle autorità di regolamentazione. Varie agenzie federali, tra cui il servizio sanitario pubblico e la Food and Drug Administration, hanno adottato approcci diversi per le valutazioni in questo campo. Alcuni considerano solo gli effetti negativi immediati. Mentre gli effetti sulla salute e sull’ambiente dell’esposizione a lungo termine sono studiati raramente. In questo quadro incerto, sono gli Stati a muoversi. Il Vermont vieterà, da luglio prossimo, i neonicotinoidi e la California è intenzionata a proibire il clorpirifos.
Per avere un quadro di sicurezza valido su tutto il territorio federale, sostiene il Washington Post, ogni volta che i pesticidi o altre sostanze chimiche vengono introdotti sul mercato le autorità di regolamentazione dovrebbero utilizzare il principio di precauzione: cioè evitare di rilasciare autorizzazioni per nuovi prodotti i cui effetti finali sono contestati o sconosciuti. Ma non avviene. Anzi è circolata una notizia che ha acuito le polemiche: David Bernhardt, segretario del Dipartimento degli Interni dell’amministrazione Trump, avrebbe bloccato un rapporto federale sui rischi causati da alcuni pesticidi, rischi che potrebbero portare all’estinzione di centinaia di specie.
In questo caso però non si tratterebbe di una novità introdotta da Trump. Sin dagli albori dell’era moderna dei pesticidi, durante la seconda guerra mondiale, i regolatori federali di entrambi i maggiori partiti hanno adottato norme che hanno permesso a pesticidi potenzialmente pericolosi di rimanere legali. Del resto, si tratta di prodotti economici, facili da realizzare e altamente redditizi per le industrie chimiche.
Subito dopo la guerra, visto il numero dei nuovi pesticidi, si era resa necessaria una nuova legge federale per regolare il loro uso, perché la precedente risaliva al 1910. E un ruolo cruciale nella stesura di questa legge, varata nel 1947, è stato svolto dai rappresentanti dell’industria. Così, con poche restrizioni sul mercato, le aziende hanno aumentato la produzione. Tra il 1945 e il 1950, i produttori statunitensi hanno triplicato la quantità di pesticidi prodotti. Nel 1952 c’erano più di 20.000 nuovi pesticidi da testare.
Lo sforzo del presidente Richard Nixon di riformare la legge federale sui pesticidi ha prodotto un cambiamento significativo nel 1971. La nuova legislazione imponeva ai produttori di presentare i dati dei test di sicurezza e salute per ogni pesticida che volevano registrare, e ha concesso alla nuova autorità, l’Agenzia per la protezione dell’ambiente (Epa), di richiedere ulteriori dati. Ma il risultato è stato che alla fine degli anni ’70 l’ufficio antiparassitario dell’Epa doveva affrontare un enorme arretrato di richieste di registrazione e, incapace di tenere il passo, ha scelto di registrare i pesticidi le cui applicazioni includevano dati incompleti, inaffidabili e obsoleti.
Ciò ha portato alla creazione di una registrazione “condizionale”: dopo il 1978, le aziende potevano registrare nuovi prodotti senza presentare tutti i dati richiesti relativi alla sicurezza e ai test, permettendo loro di eludere l’obbligo legale di dimostrare un prodotto sicuro per la salute e l’ambiente prima di venderlo al pubblico. Dei 16.000 pesticidi registrati per l’uso negli Stati uniti, più di due terzi sono stati registrati “temporaneamente”. Alcuni sono stati registrati con la “condizionale” per più di 20 anni. Uno di questi composti era il glifosato, introdotto per la prima volta sul mercato negli anni ’70.
La registrazione condizionale non è l’unica ragione per cui il glifosato è rimasto sul mercato. Gli scienziati dell’Epa, ricorda la giornalista, lo hanno classificato nel 1985 come cancerogeno, ma hanno cambiato opinione dopo sei anni di contatti con i dirigenti della Monsanto. Successivamente la società ha commissionato studi che hanno dato risultati più favorevoli alla società e ha chiesto ai regolatori federali di basare le decisioni su quegli studi. In un caso – racconta il Washington Post – l’Epa ha ceduto alle richieste del settore di rimuovere uno scienziato da un panel di revisione sulla sicurezza del glifosato. In un altro, sotto l’amministrazione di Barack Obama, uno scienziato dell’Epa ha promesso a Monsanto che avrebbe bloccato una revisione programmata sulla sicurezza del glifosato.
Per il sistema americano, i pesticidi sono innocui e sul mercato fino a prova contraria. Per la giornalista del Washington Post, invece, i legislatori e i regolatori devono adottare una linea più dura. “Questo non è un problema democratico o un problema repubblicano. È un problema americano di vecchia data, che mette a rischio la sicurezza del nostro ambiente, il nostro approvvigionamento alimentare e, soprattutto, la nostra salute”.