Ancora una moria di pesci a Roma, sulle rive del Tevere. A distanza di circa un mese dal primo episodio – avvenuto a fine maggio, quando nei pressi di ponte Vittorio furono rinvenuti una settantina di pesci morti – pochi giorni fa di nuovo una strage di pesci sulle sponde del fiume romano, nel centro della città.
Anche in questo caso non è chiaro cosa possa essere avvenuto. “Stiamo procedendo senza escludere nessuna ipotesi “, precisa Marco Lupo, direttore dell’Arpa che coordina l’inchiesta. “A maggio abbiamo accertato che la moria era stata una conseguenza di più fattori: carenza di ossigeno e presenza di pesticidi. Solo con i risultati dei test potremo valutare un collegamento tra i due episodi”.
Nel caso del primo avvelenamento, infatti, le analisi condotte dall’Asl e dall’Arpa (Agenzia regionale per la protezione ambientale del Lazio) avevano rilevato carenza di ossigeno nel Tevere dovuta a una eccessiva concentrazione di detriti organici affluiti dai fossi in seguito alle forti piogge. Oltre a questo nelle acque del Tevere erano state trovate due sostanze potenzialmente tossiche per la fauna ittica: la Cipermetrina e il Clothianidin.
La Cpermetrina – un insetticida usato contro mosche, zanzare e blatte ma anche contro insetti infestanti in agricoltura – era in concentrazioni pari a 0.014 μg/l. Cioè in quantità sì superiori al dato medio riscontrato nei monitoraggi condotti sul fiume, ma secondo Arpa Lazio non tali da spiegare un effetto letale sui pesci.
Ma a sorpresa insieme alla Cipermetrina nelle acque del Tevere le analisi avevano trovato anche il Clothianidin, un pesticida neo-nicotinoide, usato per la concia delle sementi di mais, del cotone, della colza, della bietola e del girasole, per il trattamento di piante da frutto e ornamentali in concentrazione pari a 0.67 μg/l. Si tratta di una sostanza che nel fiume non dovrebbe esserci: altamente tossica per le api è stata vietata dal 2018.
Anche se non è ancora stata fatta chiarezza su cosa possa essere accaduto al Tevere, quello che è certo è che nelle acque dei fiumi italiani si rilevano pesticidi messi al bando da tempo eppure ancora presenti in ambiente. A conferma di quanto sia difficile smaltire queste sostanze pericolose per l’ecosistema naturale.
Del resto lo ha ricordato in una recente intervista Pietro Paris, responsabile della sezione sostanze pericolose dell’Ispra e coordinatore del Rapporto nazionale sui pesticidi nelle acque. “Ancora oggi nei fiumi troviamo sostanze bandite da anni, l’esempio più noto è quello dell’atrazina, vietata 30 anni fa e ancora largamente presente nelle acque in particolare nella pianura padana”.
Occorre dunque capire meglio. E’ quello che chiede anche l’Oipa, Organizzazione internazionale protezione animali. “Dopo l’allarme per la moria di pesci nel Tevere lanciato a fine maggio, che ha portato all’intervento dell’Arpa e dell’Asl Roma 1, purtroppo dobbiamo registrare che la strage non si è arrestata. Le successive analisi hanno evidenziato tracce di pesticidi – anche vietati – che, secondo quanto si legge nei rapporti, per le quantità non significative non sarebbero la causa certa della morte degli animali. Chiediamo un monitoraggio più approfondito, continuo e a lungo termine del Tevere se ci sono responsabilità devono essere individuate al più presto: la strage dei poveri pesci deve finire. Facciamo appello alle autorità preposte ad impegnare ogni risorsa necessaria, se dovessero emergere delle responsabilità penali, l’Oipa certamente si costituirà parte civile”.