La ripartenza passa dal bio

Il settore vale il 4% della spesa alimentare italiana: un aumento del 142% rispetto a 10 anni fa. E più di un terzo della produzione nazionale in termini di valore va a finire all’estero

di Simonetta Lombardo

Dalla nicchia d’eccellenza al mainstream. Il biologico conta per il 4% della spesa alimentare italiana: un aumento del 142% rispetto a 10 anni fa. Più di un terzo della produzione nazionale in termini di valore va a finire all’estero, alzando in maniera importante la bilancia commerciale del settore agroalimentare (2,6 miliardi l’anno). Più di 80 mila agricoltori coltivano i loro campi in maniera rispettosa della natura e dell’ambiente, ma ad assicurare loro la sopravvivenza, e in molti casi anche il successo, è stato il mercato, ovvero le richieste dei cittadini. È quanto emerge con chiarezza al Sana di Bologna, la fiera-vetrina del settore nel nostro Paese. I dati elaborati da Nomisma per SANA 2020 servono da spunto all’appuntamento Rivoluzione bio che ha scelto quest’anno il titolo “La ripartenza passa dal bio”.

Il successo del biologico è trainato da una richiesta sempre maggiore degli italiani che – in linea con le scelte di tutto il continente – non solo mettono la protezione dell’ambiente in testa alle loro preoccupazioni (succede al 94% dei cittadini) ma collocano tra i temi particolarmente importanti l’inquinamento agricolo: secondo Nomisma, a fare questa scelta è una persona su tre. E il focus della discussione sono le prospettive strategiche del settore soprattutto in relazione al grande slancio dato al biologico dalle scelte europee. Dal Green Deal alle strategie che lo declinano, ovvero Farm to fork e Biodiversità, la Commissione Ue ha indicato nel biologico una delle strade maestre della transizione ecologica del continente.

“L’Europa sta facendo la sua parte con biodiversità, New Deal e Farm to Fork: tutti i Paesi Eu si devono impegnare ad arrivare al 25% del suolo coltivato a bio e a tagliare del 50% pesticidi e antibiotici da qui al 2030”, ricorda la ministra delle Politiche agricole Teresa Bellanova, intervenendo in streaming. “L’Italia si trova in una posizione avanzata. Oltre ad essere già arrivata quasi al 16% circa delle terre coltivate a bio, vede crescere domanda e consumi in maniera importante. Anche e soprattutto nei drammatici mesi del lockdown l’attenzione dei cittadini è aumentata”.

Il governo – rivendica la ministra – sta facendo la sua parte  con interventi per 5 milioni sulle mense scolastiche; 1,6 milioni per la ricerca transnazionale che coinvolge sia aziende che università e centri di ricerca; una posta di altri 4 milioni per la nuova ricerca scientifica. Certo, ammette “è necessario approvare il testo unico sul bio: ho sollecitato e lo farò di nuovo, è essenziale per rilanciare ulteriormente il settore. Se riusciremo a essere coesi, le iniziative potrebbero contribuire a fare del bio la stella cometa per tutta l’Europa. L’obiettivo europeo del 25% di superficie coltivata a biologico è importante per definire il modello di agricoltura, ma a patto di riflettere su quale bio vogliamo e su come pensiamo si possa integrare nel resto del sistema agroalimentare. Non possiamo indebolire le regole perché tutto diventi bio. Se abbassiamo l’asticella danneggiamo tutti”.

Certo, di abbassamento degli standard del bio si potrebbe parlare anche in riferimento ad alcuni degli interventi della tavola rotonda organizzata per questi Stati generali del bio. La parola d’ordine per tutti è – giustamente – ‘innovazione’, ma talvolta gli accenti non rispecchiano pienamente i principi fondanti dell’agroecologia. Per Dino Scanavino, presidente di Cia (Confederazione Italiana Agricoltori), ad esempio, “l’innovazione genetica deve essere derubricata dall’elenco ogm”. Una posizione che viene rispecchiata anche nelle parole dell’europarlamentare Paolo De Castro, coordinatore del gruppo S&D in commissione Agricoltura, che conferma: “L’editing genetico è interessante. Vogliamo ridurre la chimica? Per farlo abbiamo bisogno di dare alternative a agricoltori, la ricerca genetica offre possibilità concrete. È un passaggio delicato, ma dobbiamo farlo”.

“L’innovazione è centrale, ma deve essere coerente con il modello bio”, chiarisce con fermezza Maria Grazia Mammuccini, presidente di FederBio. “Il genoma editing non è adatto per il bio, che trova soluzioni nella conoscenza della natura. Sono addirittura le imprese multinazionali a investire sul biocontrollo, su soluzioni basate sulle risorse naturali”.  Il Covid19 ha messo al centro l’agricoltura, ricorda Mammuccini “e la consapevolezza che salute, ambiente e persone sono la stessa cosa. L’Europa ha scelto subito questa strada con due strategie coraggiosissime, Farm to Fork e Biodiversità, che portano innovazioni straordinarie: l’agricoltura di precisione, il km 0 , la lotta spreco. La distintività del bio, la sua ‘eccezionalità’ consiste nella conservazione delle sue differenze positive”.

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