Il 14 gennaio 2021 – la notizia è passata un po’ in sordina a causa della crisi politica – la commissione Agricoltura del Senato ha approvato dopo ben due anni la legge sull’agricoltura biologica. Il testo del disegno di legge 988, intitolato “Disposizioni per la tutela, lo sviluppo e la competitività della produzione agricola, agroalimentare e dell’acquacoltura con metodo biologico”, era infatti fermo a Palazzo Madama dal 2018. Una delle novità principali introdotte dal provvedimento è il marchio nazionale “bio”: un logo, come esiste la certificazione doc o dop per intenderci, un’etichetta ad hoc che permetterà di riconoscere i prodotti biologici realizzati con materia prime coltivate o allevate in Italia. Già perchè fino ad oggi, come spiega in questo articolo Chiara Brandi su Greenplanet, l’Italia è uno dei pochi Paesi in cui i prodotti bio hanno solo il marchio europeo e non un logo specifico.
Soddisfazione, sia sul marchio che sull’impianto generale della legge, è stata espressa dalle associazioni di categoria e in particolare da FederBio. Secondo la presidente Maria Grazia Mammuccini, il marchio bio rappresenta “un’ulteriore opportunità per la crescita di questo settore nel Paese: unire l’identità dei nostri prodotti con un metodo produttivo che rispetta l’ambiente è una condizione per rafforzare l’intero agroalimentare”. Il testo dovrà in ogni caso passare in aula per il voto finale del Senato, per poi ritornare alla Camera per l’approvazione definitiva. La situazione di instabilità politica e i problemi del governo potrebbero però allungare i tempi di conclusione dell’iter…
Non è solo per motivi etici e ambientali che il bio “funziona”: dovrà essere uno dei volani per la ripresa economica, a prescindere dal futuro assetto politico dell’Italia (e da chi guiderà il ministero dell’Agricoltura). È infatti anche uno degli aspetti-chiave del settore agricolo come immaginato dall’Unione europea. In particolare, la strategia Farm to fork prevede tra gli obiettivi da raggiungere entro il 2030 l’aumento delle superfici agricole coltivate in modo bio fino al 25%. In Italia questa componente supera già il 15% del totale delle superfici agricole: per questo siamo in “pole position” per guadagnare competitività rispetto agli altri Paesi europei. La media dei terreni bio degli Stati membri è infatti solo l’8%: la Spagna raggiunge il 10%, seguita da Francia e Germania, rispettivamente con l’8 e il 9% delle superfici coltivate secondo i parametri del biologico.
Non solo, perchè pochi giorni prima del primo sì alla legge sul bio, lo scorso 8 gennaio, il ministero dell’Agricoltura ha anche emanato il bando per la ricerca sul biologico, con uno stanziamento complessivo di 4,2 milioni di euro.
È previsto per ciascun progetto presentato e finanziato un tetto di 300 mila euro, con una copertura fino al 90% della spesa ammessa a finanziamento. I progetti di ricerca dovranno essere orientati al miglioramento delle produzioni biologiche, all’innovazione dei processi produttivi delle imprese biologiche, al trasferimento tecnologico, alla fruizione e diffusione dei risultati della ricerca e alla diffusione dei benefici e vantaggi dell’agricoltura biologica.
Potranno partecipare anche università ed enti pubblici ma è sempre obbligatorio, pena l’inammissibilità del progetto, il coinvolgimento nelle attività progettuali di almeno un’azienda biologica o biodinamica.
Il testo integrale dell’avviso è pubblicato sul sito del ministero al link: www.politicheagricole.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/16433.
Intanto, il biologico convince sempre di più i consumatori italiani. Secondo gli ultimi dati dell’Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare (Ismea), nel 2020 si è raggiunto il record di 3,3 miliardi di consumi biologici in Italia. I consumi di cibi biologici nel nostro Paese sono dunque più che triplicati negli ultimi 10 anni, fino a rappresentare oggi il 4% nel carrello degli italiani (fonte: Rapporto Sinab – Ismea Bio in cifre 2020, ottobre 2020). E la pandemia, sempre secondo l’Ismea, ha impresso “un’ulteriore accelerazione della crescita, non solo legata al generale aumento degli acquisti tra le mura domestiche, ma anche alla maggiore attenzione alla salute e al benessere, che l’emergenza sanitaria ha imposto come priorità nel vissuto del consumatore”.