La transizione ecologica deve includere l’agricoltura, ma il mondo politico italiano – e non solo – si sta muovendo nella direzione sbagliata. O addirittura senza una direzione, che forse è anche peggio. È quanto emerge dal III Forum sull’agroecologia circolare organizzato da Legambiente il 25 novembre.
Le strategie Farm to Fork e Biodiversity 2030 non nascono asetticamente nei palazzi di Bruxelles, ma dalla volontà dei cittadini e dei consumatori europei. Per attuarle però è fondamentale avviare anche iniziative istituzionali. “Siamo convinti che dall’agroecologia arrivi la ricetta per garantire la sostenibilità ambientale, sociale ed economica della filiera agroalimentare”. Ha detto il presidente di Legambiente Stefano Ciafani. “Per questo è importante che l’Italia scommetta senza indugi e con coraggio su questo nuovo modello di sviluppo agricolo. Avviando la riconversione ambientale di settori produttivi cruciali, proprio a partire dal Piano strategico nazionale sulla Pac che ad oggi non sta andando nella giusta direzione. Occorre, inoltre, sostenere con forza la diffusione delle produzioni bio e la creazione dei biodistretti e approvare, superando i forti ritardi, la legge sul biologico”.
Una legge ferma in Parlamento a causa di una “visione macchiettistica” (per usare le parole del presidente di Legambiente) dell’agricoltura biodinamica. Ma non si può cambiare l’agricoltura senza coinvolgere gli agricoltori, si devono offrire sia incentivi che alternative e si deve spingere per aumentare la domanda di prodotti bio. “Per avviare una transizione ecologica c’è bisogno di una transizione economica”, ha detto Ettore Prandini, presidente di Coldiretti.
Per spronare questo cambiamento servono poi piani concreti a livello nazionale, e per ora non sta succedendo. “Siamo molto delusi dalla prima bozza del Psn (Piano strategico nazionale)” ha affermato Maria Grazia Mammuccini, presidente di FederBio. “L’agricoltura biologica viene citata solo nell’obiettivo per lo sviluppo sostenibile. Ma non a proposito del reddito o della competitività degli agricoltori, e nemmeno a proposito del clima. Questi sono tutti aspetti per cui l’agricoltura biologica può dare un grande aiuto. Se vogliamo raggiungere l’obiettivo europeo del 25% di superficie agricola coltivata a bio posto dall’Europa, il biologico deve poter dare il suo contributo in maniera trasversale su tutti i pilastri del Psn”.
Dalla giornata sono poi emersi alcuni dati allarmanti. Giorgio Barracani, vice presidente di Conapi, ha mostrato come la produzione di miele annua (biologico e non) si sia dimezzata negli ultimi dieci anni. Gli ha fatto eco Andrea Rigoni: l’ad di Rigoni di Asiago ammette con preoccupazione che in queste condizioni la sua azienda, leader della filiera dell’apicoltura biologica in Italia, non sarà più in grado di produrre. E Davide Vernocchi, presidente di Apo Conerpo, ha parlato del crollo della produzione ortofrutticola in Italia: -14% rispetto al 2019 e -30% rispetto al 2018.
Ma tutti i giochi sono ancora aperti. La giornata ha sottolineato l’esistenza di una rete vasta fatta di associazioni e aziende che hanno mostrato compattezza nel chiedere segnali chiari al mondo politico. Dall’incontro emergono anche esempi virtuosi che dimostrano come l’agroecologia sia legata al successo economico. Come Bonifiche Ferraresi, la società agricola prima proprietaria terriera in Italia e da sempre uno dei colossi dell’agricoltura convenzionale, che in una parte consistente dei propri appezzamenti sta iniziando ad applicare tecniche dell’agricoltura biodinamica. Oppure come NaturaSì, che nelle 300 aziende agricole biologiche con cui collabora ha già doppiato la quota di copertura lasciata alla biodiversità chiesta dall’Europa nella Farm to Fork: 19% anziché 10%. “Mettendo in fila tutte le siepi presenti nelle nostre aziende produttrici”, ha affermato Fausto Jori, amministratore delegato di NaturaSì, “faremmo una siepe lunga da Roma a Trieste”.