La Cina non solo intende egemonizzare il mercato delle terre rare, tanto da aver dato vita a nuovo gigante di Stato, il China Rare Earth Group, per “rafforzare ulteriormente il potere di determinazione dei prezzi”, ha scritto il Wall Street Journal. Secondo un’indagine, la Cina sforna ogni anno quasi la metà dei 4 milioni di tonnellate di pesticidi venduti nel mondo. In soli vent’anni i produttori cinesi di pesticidi sono riusciti a conquistare oltre il 40% di questo mercato. Stimato in 61 miliardi di dollari nel 2020 (54 miliardi di euro).
A lanciare l’allarme è stato un gruppo di esperti francesi, ha scritto Le Monde, che ha messo in guardia contro questa evoluzione da cui dipende il futuro dell’alimentazione umana: il Bureau d’analyse sociétale pour une information citoyenne (Basic). Il centro studi ha realizzato un’indagine pubblicata martedì 30 novembre per conto di Pollinis, che si batte contro l’estinzione delle api, e del Comitato cattolico contro la fame e per lo sviluppo (CCFD-Terre solidaire), che getta nuova luce sul settore.
Migliaia di dati economici e finanziari sono stati compilati per tracciare un quadro globale sul valore del settore dei pesticidi. “In vent’anni, la Cina è cresciuta esponenzialmente sul mercato internazionale. Al punto da produrre quasi la metà dei 4 milioni di tonnellate di pesticidi prodotti ogni anno nel mondo”, riassume Christophe Alliot, cofondatore di Basic.
“La Cina è diventata il primo esportatore nel 2018, con 5,2 miliardi di dollari, superando la Germania” e disegnando così una nuova geopolitica. Le esportazioni cinesi sono destinate, nell’ordine, a Brasile, Thailandia e Stati Uniti. Seguono Australia, Nigeria, Indonesia e Vietnam.
Anche l’India ha aumentato di 14 volte tra il 2000 e il 2020 le sue esportazioni di prodotti fitosanitari a basso costo. Questo spostamento della produzione verso l’Asia preoccupa la Commissione europea: La maggior parte delle sostanze attive nei prodotti fitosanitari commercializzati nell’Unione europea sono prodotte all’estero. Sempre più spesso, la formulazione dei prodotti si sta spostando anche in paesi non Ue”.
Le aziende agrochimiche globali hanno subito contemporaneamente un processo di concentrazione senza precedenti. Quattro i pesi massimi che dominano la scena: Bayer-Monsanto, Syngenta, Corteva e Basf. Tra questi player cosiddetti “integrati”, perché padroni dell’intera catena del valore, dalla ricerca e sviluppo alla distribuzione del prodotto, la tedesca Bayer ha conquistato la francese CropScience nel 2008, poi Monsanto nel 2018. Da parte loro, gli americani Dow Chemical e DuPont si sono fuse dando vita a Corteva nel 2019.
La svizzera Syngenta è stata acquistata nel 2017 dalla statale ChemChina. Leader dell’industria chimica cinese, per 43 miliardi di dollari, la più grande acquisizione mai fatta da Pechino all’estero. Da allora, Syngenta ha continuato a crescere. Nel 2020, è stata confermata la fusione tra ChemChina e l’altro gigante cinese, Sinochema. “Creerà un gigante equivalente alla fusione di tutte le aziende americane ed europee. La Cina vuole creare il più grande cluster chimico del mondo”, ha detto Alliot. E questo senza trasparenza.
Nel frattempo la percentuale di pesticidi protetti da brevetti si è dimezzata. I generici, che costituivano il 30% del mercato nel 2000, ora rappresentano il 70%. Il loro prezzo al chilo (23 dollari) è tre volte e mezzo più basso dei prodotti brevettati (81 dollari). Il settore “è vitale solo perché non paga i costi associati al loro impatto negativo (disinquinamento, investimenti in agroecologia, salute) e perché riceve aiuti statali”, denunciano le ong.
La novità è infatti che la Cina domina anche il mercato dei generici. “I prodotti utilizzati in Europa spesso non sono competitivi nelle regioni del pianeta che accettano molecole vietate da noi”, sottolinea l’esperto tedesco Christian Janze. “E nei Paesi emergenti si ricorre più volentieri a generici a bassa intensità di ricerca e sviluppo”.
Dietro i primi tre produttori generici (l’americana Albaugh, l’australiana Nufarm e l’olandese Nutrichem), i cinesi occupano ora le sette posizioni successive nella top 10, con entità che sono ancora indipendenti da ChemChina, come Shandong Weifang Rainbow Chemical o Nanjing Red Sun.
Nel 2011, il capitale cinese ha acquisito il più grande attore del settore, l’israeliana Adama che, fusa con Syngenta, ha permesso di raggiungere 15 miliardi di dollari di vendite nel 2020. “Crediamo che i cinesi abbiano investito enormi capacità per fare generici con grandi economie di scala”, dice Alliot.
Il rafforzamento della Cina nel settore agrochimico è dovuto al fatto che la situazione alimentare dei suoi 1,4 miliardi di abitanti è fragile. “Le sue risorse interne in terre arabili sono stagnanti e la popolazione esige qualità”, nota Sébastien Abis, specialista in geopolitica agricola e membro del club Demeter. Per raggiungere l’autonomia alimentare, il Paese ha quindi deciso di “affidarsi alla scienza e alla tecnologia per verticalizzare le rese e mettere il turbo all’agricoltura di precisione, dopo aver cercato la sua sicurezza alimentare all’estero”.