Sono circa 500 milioni i polli allevati in Italia, la grandissima parte in allevamenti intensivi; più di 8 milioni i maiali. A questi si aggiungono quasi 6 milioni di bovini, 7,1 di ovini e 1,1 di caprini.
Un numero impressionante di animali che non solo – a causa delle condizioni di molti allevamenti – incide sul loro benessere, ma contribuisce a rendere l’agricoltura il terzo settore più inquinante, dopo energia e processi industriali.
L’80% del totale delle emissioni di gas serra provenienti da produzione agricola, pari a quasi 30 milioni di tonnellate/anno, arriva infatti dagli allevamenti. Queste emissioni derivano dall’utilizzo di pesticidi e fertilizzanti chimici destinati alla produzione di cibo per animali, ma anche dall’emissione di metano e ammoniaca prodotte dagli animali, sostanze che si depositano nel suolo, confluiscono nelle acque ed evaporano nell’aria.
Inoltre, secondo uno studio dell’Ispra, gli allevamenti sono responsabili del 15,1% del particolato PM 2,5 in Italia, uno degli inquinanti urbani più pericolosi. In pratica le stalle e la gestione dei reflui inquinano più di automobili e moto (9%) e più dell’industria (11,1%) in termini di polveri sottili.
Queste cifre già da sole rendono evidente la necessità di cambiare sistema. Da tempo Cambia la Terra, il progetto promosso da FederBio insieme con Isde, Legambiente, Lipu, Slow Food e WWF, ha avviato una riflessione sulla necessità di aumentare il numero di allevamenti biologici per garantire un processo di crescita e benessere degli animali che rispetti la salute di terra, acqua e aria. Un metodo di allevamento che, oltre ai benefici per l’ambiente e il clima, ne produce molti anche per la salute dell’uomo e per l’economia.
Se ne è parlato a Bologna durante la 34esima edizione del Salone Internazionale del Biologico e del Naturale dal titolo “Allevamenti. Sostenibile non basta: il modello è quello del Bio”, durante il quale le associazioni hanno fatto il punto sullo stato attuale della normativa e dei fondi destinati agli allevamenti bio. Le Strategie dell’Unione europea “Farm to Fork” e “Biodiversità 2030” rappresentano una svolta della politica agricola: fissano al 2030 la riduzione del 50% dell’uso dei pesticidi e del 20% dei fertilizzanti chimici, e per i campi biologici indicano il target del 25% del totale della superficie agricola utilizzata.
In Italia 80.000 aziende agricole, per un totale di 2 milioni di ettari, oltre il 16% della superficie agricola, ha già fatto questa scelta.
“Un processo che deve essere supportato attraverso i fondi del Psn, Piano strategico nazionale”, sottolinea Maria Grazia Mammuccini, presidente di FederBio. “È fondamentale che le Regioni confermino gli stessi stanziamenti del periodo 2014-2022, oltre all’incremento necessario per il rispetto dell’accordo raggiunto in Conferenza Stato Regioni relativo ai 90 milioni di euro all’anno destinati al settore del bio. Un settore che, come dimostra la diffusione sempre più capillare dei distretti biologici, ha un ruolo strategico nello sviluppo dell’agricoltura italiana e della transizione ecologica. Gli allevamenti bio sono un’opportunità ulteriore per la tutela dell’ambiente, ma anche per un modello economico sostenibile e fruttuoso. Occorre investire per ridurre gli allevamenti intensivi e far crescere l’allevamento biologico basato sul ciclo chiuso a livello aziendale per consentire che il letame torni a essere una risorsa fondamentale per la fertilità della terra invece che un inquinante”.
Mammuccini ha inoltre fatto riferimento al difficile contesto internazionale e alla sempre più insostenibile crisi energetica: “In questo momento è ancora più urgente sostenere gli agricoltori bio che si trovano ad affrontare sfide epocali che segneranno il futuro di tutta l’agricoltura, da qui alle prossime generazioni”.
Un modello di allevamento diverso è infatti possibile. È quello messo in pratica da L’Agricologica di Aboca, che si dedica ad allevamenti biologici nel rispetto dello standard High Animal Welfare di FederBio: bovini e suini, a breve anche gli avicoli, sono allevati al pascolo allo stato semi brado. Gli animali si nutrono nei pascoli con fieno biologico autoprodotto e un’integrazione a base di cereali, ghiande, castagne. Crescono senza stress e inutili sofferenze.
Non solo. Secondo uno studio dell’Università di Perugia, anche la qualità della carne è più salutare per l’uomo: il grasso ha infatti un rapporto omega 3 / omega 6 inferiore a 2,5, ben al di sotto del limite indicato dalle linee guida delle Istituzioni sanitarie mondiali.