L’industria dei fertilizzanti di sintesi vale 70 miliardi di dollari ed è responsabile del 2,1% delle emissioni globali di gas serra, pari al 10% del contributo emissivo del settore agricolo e più dell’aviazione civile. Lo rileva la nuova ricerca, pubblicata sulla rivista Scientific Reports, “Greenhouse gas emissions from global production and use of nitrogen synthetic fertilisers in agriculture”.
A differenza dei fertilizzanti organici, che provengono da materiale vegetale o animale, i fertilizzanti sintetici sono prodotti con processi chimici. La produzione e il trasporto causano emissioni di carbonio, mentre l’uso agricolo di questi fertilizzanti porta al rilascio di protossido di azoto (N2O), un gas serra 265 volte più potente dell’anidride carbonica (CO2) nell’arco di un secolo. Il team di ricerca – dei laboratori dell’Università di Torino, dell’Università di Exeter e di Greenpeace – ha scoperto che la filiera dei fertilizzanti azotati sintetici è responsabile dell’emissione dell’equivalente di 1,13 gigatonnellate di CO2 nel 2018.
La quota più rilevante delle emissioni del settore è dovuta alla loro produzione e trasporto, responsabile di circa il 40% dell’impronta ecologica dei fertilizzanti sintetici. I primi quattro emettitori – Cina, India, Stati uniti e UE28 (Paesi dell’Unione Europea più il Regno Unito) – hanno rappresentato il 62% del totale. Il Nord America ha il più alto utilizzo annuale di fertilizzanti azotati per persona (40 kg), seguito dall’Europa (25-30 kg). L’Africa ha registrato il consumo più basso (2-3 kg).
“Non c’è dubbio che le emissioni di fertilizzanti azotati sintetici debbano essere ridotte, invece di aumentare, come attualmente previsto”, ha commentato Reyes Tirado, dei Laboratori di ricerca di Greenpeace. “Il sistema agroalimentare globale si affida all’azoto sintetico per aumentare la resa dei raccolti, ma l’uso di questi fertilizzanti non è sostenibile. Le emissioni potrebbero essere ridotte senza compromettere la sicurezza alimentare. In un momento in cui i prezzi dei fertilizzanti sintetici stanno salendo alle stelle, riflettendo la crisi energetica, ridurne l’uso potrebbe giovare agli agricoltori e aiutarci ad affrontare la crisi climatica”.
Per Stefano Menegat, dell’Università di Torino, “possiamo produrre cibo a sufficienza per una popolazione in crescita con un contributo molto minore alle emissioni globali di gas serra, senza compromettere le rese”. Il cambiamento dei modelli alimentari verso una riduzione della carne e dei prodotti lattiero-caseari potrebbe svolgere un ruolo centrale. Tre quarti dell’azoto della produzione vegetale sono attualmente destinati alla produzione di mangimi per il bestiame a livello globale.
Produzione e utilizzo dei fertilizzanti sintetici non provocano solo danni all’ambiente ma rendono anche il sistema alimentare globale estremamente vulnerabile. La volatilità dei prezzi del gas, per esempio, si ripercuote sui coltivatori. Un improvviso aumento del costo del combustibile, come è accaduto nell’ultimo anno, rende più difficile e costosa la produzione di fertilizzanti con il conseguente rischio di danneggiare una filiera agricola ormai fortemente dipendente dai fertilizzanti chimici.
“Per realizzare una vera transizione ecologica – segnala non a caso Grain, organizzazione non profit internazionale a sostegno dei piccoli agricoltori – è necessaria una drastica riduzione del loro impiego, evitando soluzioni di comodo presentate dalle multinazionali del settore chimico”.
Attualmente solo il 20%-30% dei fertilizzanti applicati è assorbito dalle piante, il resto è riversato nell’ambiente e finisce per inquinare le acque e il suolo. L’eccessivo utilizzo di sostanze di sintesi in agricoltura, unito a una ridotta biodiversità delle coltivazioni, sta infatti causando, ricorda Grain, problemi ambientali e sociali. Inoltre espone il prezzo del cibo alle violente fluttuazioni del costo di energia, gas o sostanze chimiche, permettendo a poche multinazionali di monopolizzare il mercato. Oltretutto l’efficacia dei fertilizzanti è notevolmente diminuita dal 1960: vuol dire che per produrre la stessa quantità di raccolto è ora necessario impiegare una dose molto maggiore di azoto. Tutto ciò sta creando un circolo vizioso: gli agricoltori sono costretti ad acquistare sempre più sostanze di sintesi per mantenere alta la produttività delle loro coltivazioni.
Un ulteriore problema riguarda la crescente separazione tra agricoltura e allevamenti che sta portando i campi a non venire più concimati con fertilizzanti naturali. Secondo l’ong, infatti, non è possibile ridurre le emissioni dell’industria agroalimentare senza ripensare all’attuale modello di allevamento: “Gli ostacoli verso una graduale uscita dai fertilizzanti sintetici non sono di natura tecnologica o economica, ma provengono delle multinazionali, intenzionate a tutelare i loro profitti”. Per questo è necessario prestare attenzione alle “false soluzioni” presentate dalle multinazionali e relative a un’“agricoltura di precisione” e a un uso più accurato dei prodotti: strategie