Un accordo per ridurre le emissioni nette di gas serra di almeno il 55% entro il 2030 e rendere l’Ue carbon neutral entro la metà del secolo. E’ stato raggiunto tra i membri del Parlamento europeo e i negoziatori del Consiglio europeo per i settori non coperti dal Sistema di scambio di emissioni, settori che includono trasporto marittimo nazionale e stradale, edilizia, agricoltura, rifiuti e piccole industrie, collettivamente responsabili di circa il 60% delle emissioni di gas serra.
In attesa di un’adozione formale da parte di Europarlamento e Consiglio Ue, ogni Stato membro mantiene gli obiettivi nazionali già assegnati di riduzione delle emissioni, calcolati in base al Pil pro capite e al rapporto costi-benefici, ma si modifica il modo in cui gli Stati possono utilizzare le flessibilità esistenti per raggiungere i loro obiettivi. A livello complessivo, i Paesi Ue dovranno ridurre le emissioni di questi settori del 40% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2005. Il target precedente era del 30%. L’Italia entro il 2030 dovrà ridurre le emissioni di gas serra di agricoltura, trasporti, edifici e piccola industria del 43,7% rispetto al 2005. Il target nazionale attuale è del 33%. Danimarca, Finlandia, Germania, Lussemburgo e Svezia hanno l’obiettivo più rigoroso del meno 50%, mentre la Bulgaria è tenuta a ridurre del 10% le proprie emissioni di gas serra.
“Sono lieto che siamo riusciti a raggiungere un rapido accordo su questa proposta in tempo per la Cop 27”, ha affermato in una nota Marian Jurečka, ministro dell’ambiente per la Repubblica ceca, che attualmente detiene la presidenza di turno dell’Ue. La relatrice del Parlamento, Jessica Polfjärd, membro del Ppe svedese, ha affermato che “le nuove regole per i tagli alle emissioni nazionali garantiscono che tutti gli stati membri contribuiscano e che le scappatoie esistenti siano colmate”.
Climate Action Network (Can) Europe, una coalizione di Ong che combattono i cambiamenti climatici, ha tuttavia deplorato un “livello di ambizione deludente”. Brigitta Bozso, esperta di politica climatica di Can Europe, ha affermato che l’accordo “non è in linea con l’obiettivo di 1,5°C e le riduzioni del 50% necessarie”.
Effettivamente uno dei sistemi sotto osservazione, il sistema alimentare globale – dallo sfruttamento del suolo alla produzione agricola, all’imballaggio e alla gestione dei rifiuti – è responsabile di un terzo delle emissioni di gas serra, del 60% della perdita di biodiversità, di circa un terzo dei suoli degradati e del super sfruttamento di almeno il 90% delle popolazioni ittiche commerciali.
lnsomma, avverte Slow Food, “l’impatto ambientale è stato devastante” e il rimedio è l’agroecologia, l’unico approccio in grado di coniugare produzione di cibo, tutela del suolo, difesa delle risorse, economia e diritti dei lavoratori. L’industria agroalimentare ha comportato la crescita esponenziale dell’uso di derivati dal petrolio (fertilizzanti e pesticidi, combustibili) e l’estensione delle monocolture che hanno devastato l’ambiente e compromesso la sopravvivenza delle piccole e medie imprese agricole. Intervenire per tagliare le emissioni del sistema alimentare globale non sarà semplice, ma è necessario.
Intanto, suggerisce Slow Food, vanno ridotti drasticamente la produzione e il consumo di carne azzerando quello proveniente da allevamenti intensivi, il principale responsabile delle emissioni imputabili al sistema alimentare. La produzione di 1 kg di carne bovina porta all’emissione di gas serra pari alla quantità di anidride carbonica emessa da un’automobile media europea che percorre 250 km. Inoltre la produzione di bestiame impegna il 70% di tutti i terreni agricoli e il 30% della superficie terrestre del pianeta.
Per frenare questo veloce degrado dei sistemi alimentari e dell’ambiente i governi dovrebbero varare un pacchetto di misure: fondi pubblici per sostenere i sistemi di agricoltura agroecologica che aiutano a contenere le emissioni serra; lotta decisiva contro gli sprechi alimentari; sostegno all’agricoltura familiare; riduzione della produzione di carne nelle aziende agricole intensive; protezione del suolo e recupero di quelli degradati invece di sovvenzionare la produzione agricola industriale su larga scala che si basa su concimi a base di petrolio.