Chi inquina non paga
L’utilizzo della chimica di sintesi e l’inquinamento che ne deriva provocano danni consistenti alla salute e sull’ambiente. E a farsi carico della tutela degli ecosistemi sono gli operatori del biologico sui cui ricadono i costi prodotti dall’agricoltura convenzionale
Nei nostri campi chi inquina viene pagato. All’agricoltura che utilizza pesticidi, diserbanti e fertilizzanti sintetici va la quasi totalità dei finanziamenti europei e nazionali. La politica agricola comunitaria sovvenziona infatti per il 97,7% l’agricoltura convenzionale. Al biologico, invece, che in Italia rappresenta il 14,5% della Superficie Agricola Utilizzata (SAU), vanno le briciole: su un totale di fondi europei e italiani per l’agricoltura di circa 62,5 miliardi, riceve solo 1,8 miliardi. È quanto emerge dal Rapporto “Cambia la Terra. Così l’agricoltura convenzionale inquina l’economia (oltre che il Pianeta)”, promosso da FederBio con Isde- Medici per l’ambiente, Legambiente, Lipu e WWF.
L’utilizzo della chimica di sintesi e quindi l’inquinamento provocano anche costi consistenti in termini di salute e ambiente, una palese inversione della regola “chi inquina paga”.
E non è il modello agricolo ad alto impatto ambientale a farsi carico della tutela degli ecosistemi, ma sono gli operatori del biologico a sopportare i costi prodotti dall’inquinamento causato dalla chimica di sintesi: il costo della certificazione; il costo della burocrazia; il costo della maggiore quantità di lavoro necessaria a produrre in maniera efficace e a proteggere il raccolto dai parassiti, senza ricorso a concimi di sintesi e diserbanti; il costo della fascia di rispetto tra campi convenzionali e campi biologici.
Eppure, l’impatto economico dell’inquinamento da pesticidi è ormai documentato da una serie di studi internazionali. Una ricerca Usa valuta i costi derivati dall’uso dei pesticidi – spese sanitarie, perdita di produttività, perdita di biodiversità, costi per il disinquinamento del suolo e delle acque – in circa 10 miliardi di dollari l’anno nei soli Stati Uniti.
L’Italia si trova purtroppo esposta in prima linea nella battaglia contro il rischio chimico: è al terzo posto tra i consumatori di pesticidi a livello europeo. Mentre il consumo di principio attivo nella UE è mediamente di 3,8 chili per ettaro, in Italia si arriva a 5,7 chili per ettaro: in 10 anni – dal 2006 al 2016 – si è registrato un aumento della spesa del 50% per i pesticidi e del 35% per i concimi. E l’agricoltura intensiva, la monocoltura, l’uso di diserbanti e concimi chimici sono tra gli elementi che più impoveriscono il terreno, riducendo la materia organica, la concentrazione di microrganismi e quindi la fertilità.
Inoltre, dal punto di vista strettamente sanitario, secondo le stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità complessivamente nel mondo si registrano oltre 26 milioni di casi di avvelenamento da pesticidi all’anno e 258.000 decessi. In pratica 71.232 persone ogni giorno – più o meno gli stessi abitanti di una città come Pavia – restano intossicate in maniera acuta dai pesticidi e 706 persone muoiono. Uno studio europeo del 2015 ha poi valutato che l’esposizione prenatale a organofosfati (composti base di molti pesticidi ed erbicidi) fa perdere ogni anno 13 milioni di punti di quoziente intellettivo e provoca 59.300 casi di ritardo mentale, con un costo economico valutabile da un minimo di 146 miliardi di euro a un massimo di 194 miliardi all’anno: all’incirca l’1% del PIL dell’Ue.
Infine c’è da tener presente l’impatto sul clima dell’agricoltura ad alto uso di chimica di sintesi e di combustibili fossili. L’Ipcc, la task force di climatologi organizzata dall’Onu, ritiene che siano proprio il modello agricolo e alimentare oggi imperante e l’uso attuale di suolo e foreste a essere responsabili del 24% del rilascio dei gas climalteranti. Una conseguenza che potrebbe essere evitata scegliendo la strada dell’agroecologia: secondo i dati pubblicati dal Rodale Institute nel 2011, i sistemi di agricoltura biologica utilizzano il 45% in meno di energia rispetto a quelli convenzionali e producono il 40% in meno di gas serra rispetto all’agricoltura basata su metodi convenzionali.
A due mesi dalla divulgazione del Rapporto elaborato da FederBio con Isde- Medici per l’Ambiente, Legambiente, Lipu e WWF, la coalizione che ha dato vita al progetto “Cambia la Terra – No ai pesticidi, Sì al biologico” presenta il 27 novembre alle 11,30, alla Sala Stampa della Camera, le sue proposte alla politica per fermare il degrado dei suoli, delle acque, del clima e per produrre cibi più sani.